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La scorsa estate, per vedere dove era arrivata la Xylella - il batterio che ha fatto strage degli ulivi in Salento - ero dovuto arrivare a Oria, nel Brindisino. Oggi l’ulivo trovato infetto alle analisi, la cui immagine apre questo articolo, fotografato a un passo da Cisternino (più di trenta km più a Nord) segna la frontiera settentrionale del contagio. I giornali di questi giorni riportano l’intenzione del commissario UE Andriukaitis di innalzare verso Nord il confine della zona infetta, e conseguentemente anche quello delle zone cuscinetto e di contenimento, all’interno delle quali è necessario abbattere gli ulivi malati e quelli sani entro un raggio di cento metri.

Una decisione che ratificherebbe una realtà che è già sotto gli occhi di molti osservatori: la Valle d’Itria sta diventando, a tutti gli effetti, il nuovo Salento, e la sopravvivenza del suo paesaggio unico al mondo dipende esclusivamente dalla serietà e dalla rapidità con cui verranno messe in atto le uniche misure che consentono di contrastare il contagio, come disposto dalle autorità europee: abbattimenti e contrasto dell’insetto vettore del batterio attraverso trattamenti insetticidi. La Valle d’Itria potrà salvarsi solo se non si perderà il tempo che si è perso in Salento.

E proprio in Salento, a poco più di un’ora di macchina a Sud di Cisternino, nei dintorni di Gallipoli, il paesaggio agghiacciante di centinaia e centinaia di chilometri quadrati di ulivi completamente secchi racconta con una chiarezza disarmante quello che potrebbe accadere anche nelle altre grandi aree olivicole della regione, a cominciare da quella paesaggisticamente più suggestiva e preziosa, la Valle d’Itria appunto, con i suoi trulli e i suoi ulivi millenari, per poi proseguire ancora più a Nord, verso Bari e Bitonto, e poi Andria, distretti tra i più produttivi d’Italia.

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E se questo disastro epocale è anche il prodotto del tempo perso dalle istituzioni negli scorsi anni, quando il contagio sarebbe potuto essere contenuto in un’area relativamente circoscritta, oggi lasciano letteralmente a bocca aperta le dichiarazioni del Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che durante una conferenza stampa ha chiesto al governo in carica - lo stesso governo che secondo il governatore non sarebbe legittimato a intervenire su Ilva - nientemeno che un decreto di urgenza per accelerare gli abbattimenti, prima che arrivi (a giorni) il Commissario Europeo a prendere atto della situazione e a imporre nuove contromisure, prima fra tutte l’estensione dell’area di contenimento. Altrimenti, parole testuali di Emiliano, qualcuno potrebbe “dare la colpa alla Regione Puglia”. Chissà mai perché.

Negli scorsi anni abbiamo visto letteralmente di tutto. Abbiamo visto artisti e saltimbanchi lanciavano appelli perché gli ulivi malati non venissero abbattuti guidando proteste contro gli espianti e diffondendo incredibili teorie che attribuivano a un complotto multinazionale l’origine del contagio, orchestrato da chissà chi per distruggere l’olivicoltura salentina. Abbiamo visto magistrati di grido prendere per buoni queste follie e bloccare gli espianti (per anni), accusando addirittura gli scienziati che studiavano la malattia di essere gli “untori” che l’avevano intenzionalmente diffusa.

Abbiamo visto (e li vediamo di nuovo oggi in Valle d’Itria) comitati “popolari” promuovere cure alternative “naturali” che non servono a nulla se non a confondere le idee agli agricoltori e a trovare spazio sul Fatto Quotidiano o su Micromega. Abbiamo visto (e li vediamo di nuovo in Valle d'Itria) olivicoltori e amministratori locali promuoveri ricorsi contro gli espianti, ritardando gli interventi e di fatto favorendo l'espansione del contagio. Nessuno di loro, a cominciare da Michele Emiliano che di questo delirio collettivo è stato la principale forza motrice, sarà mai chiamato a rendere conto di questa catastrofe economica, paesaggistica e ambientale, della quale probabilmente abbiamo finora visto solo la prima parte.

La Xylella avanza alla velocità di 30 chilometri all’anno, e per ridurre gli ulivi nello stato in cui è possibile vederli oggi intorno a Gallipoli sono sufficienti appena due o tre anni dalla comparsa dei primi sintomi di un contagio che non lascia scampo tra le varietà di ulivo più diffuse nella regione. I conti sono fin troppo facili da fare, sia sul tempo che resta a disposizione che sulle responsabilità.

@giordanomasini