Evoluzione umana e consumo di carne: lo studio di Nature
Scienza e razionalità
La sollevazione popolare suscitata qualche mese fa dalle dichiarazioni dell’OMS, in merito agli effetti negativi sulla salute del consumo di carni rosse lavorate, è lì a ricordarci quanto quello del mangiare carne o meno sia per il pubblico un argomento sensibile.
Non desta sorpresa, dunque, che un recente articolo di Nature dedicato all’impatto del consumo di carne e delle tecniche di food processing sull’evoluzione umana sia stato immediatamente sfruttato per criticare lo stile di vita vegano e, per implicazione, vegetariano. “La scienza sbugiarda i vegani” (Il Giornale), “Vegani, evolvetevi!” (Il Foglio), “Sorry Vegans: Here’s How Meat-Eating Made Us Human” (TIME) sono alcuni dei titoli con cui la stampa, italiana e no, ha accolto la notizia.
Secondo Daniel Lieberman e Katherine Zink, ad aver favorito la comparsa nell’Homo erectus di una mandibola meno pronunciata in avanti e di denti più piccoli sarebbe stata non tanto la cottura dei cibi – come ipotizzato da altri studi – quanto il consumo di carne, un cibo cioè più morbido, e l’uso di alcuni utensili per tagliare e lavorare il cibo. Questi elementi avrebbero cioè permesso di masticare il cibo con minore frequenza e minore forza, con conseguenze a cascata per la morfologia del cranio umano e del cervello che esso racchiude.
Per gli addetti ai lavori le conclusioni dello studio sull’importanza della carne nell’evoluzione umana non giungeranno come una sorpresa. In Italia, il professor Giuseppe Rotilio si occupa da anni del rapporto tra dieta ed evoluzione, osservando (e non è il solo) che il consumo di carne – come anche di pesce – è stato di fondamentale importanza nello sviluppo cerebrale del genere Homo.
Ma quali sono le implicazioni di tutto ciò per la dieta che noi, oggi, dovremmo seguire?
Per cominciare, è il caso di sgombrare il campo da un dubbio. Che nel corso dell’evoluzione il consumo di carne abbia favorito lo sviluppo cerebrale, e con esso la comparsa di capacità cognitive più sofisticate, non implica affatto che consumando oggi meno carne si diventerà automaticamente meno intelligenti. Il dubbio è meno peregrino di quanto possa sembrare.
È ancora Nature a ricordare una ricerca degli anni ’80 che collegò la carenza di carne nella dieta di alcuni bambini in Messico, Kenya ed Egitto a una serie di problemi, tra i quali un peggiore rendimento scolastico. Si trattava tuttavia, in questo caso, di un problema di generale povertà, più che di dieta: secondo i risultati di un altro studio, infatti, nei ricchi il consumo ridotto di carne non era collegato a peggiori risultati nei test cognitivi.
La cosa più importante da notare, comunque, è che, da un punto vista etico, l’eventualità che il consumo di carne sia stato importante per lo sviluppo del cervello umano non fa alcuna differenza per il vegano. Se lo scopo di una persona che sceglie l'alimentazione vegana è quello di evitare inutile sofferenza animale, le motivazioni alla base della sua rinuncia resteranno per lui/lei egualmente valide. Che un certo comportamento abbia avuto conseguenze adattative nel nostro passato evolutivo non dice nulla sulla sua validità da un punto di vista morale.
Nella storia del pensiero antropologico ed evoluzionistico, anche recente, sono stati considerati adattativi comportamenti quali la guerra, il cannibalismo e lo stupro, ma (auspicabilmente) nessuno si sognerebbe di trarre da tali ipotesi – peraltro già controverse sul piano scientifico – una difesa di quei comportamenti.
Più in generale, l’ambizione di stabilire quali siano i comportamenti moralmente corretti sulla base di un’analisi evoluzionistica della “natura umana” è problematica per almeno due motivi: (1) perché l’umanità ha avuto caratteristiche diverse in momenti diversi, e non sembra possibile identificare un numero anche limitato di caratteristiche costanti che ne definiscano la “natura”; (2) perché qualsiasi tentativo di questo tipo corre il rischio di proiettare su una presunta “natura umana” quelle che sono le nostre preferenze etiche. Un concetto non-normativo di “natura umana” sembra insomma fuori dalla nostra portata.
Nel corso dell’evoluzione la specie umana è cambiata dal punto di vista non soltanto biologico, ma anche sociale. È inutile negare che la rinuncia alla carne, e ancor di più la dieta vegana, siano scelte più facilmente percorribili all’interno di una società che abbia raggiunto un certo livello di benessere. È il benessere che ci permette il lusso di chiederci se sia giusto infliggere sofferenza a un animale per scopi alimentari. Ed è sempre il benessere che ci consente di compensare la carenza di carne con altri cibi, senza rinunciare ai nutrienti fondamentali e senza alleggerire eccessivamente il nostro portafoglio.
Posto di fronte a tale scelta, ciascuno di noi sceglierà secondo coscienza. Ma resta una grave ingenuità il pensare di poterci liberare dei dilemmi etici, che sono necessariamente il frutto del nostro tempo, appellandoci a quello che è stato il cammino evolutivo degli esseri umani. Un atteggiamento pericoloso anche sul piano della ricerca, perché ci indurrebbe a sospettare di qualsiasi conclusione si discosti dalle nostre preferenze.