Quel mare è davvero Nostrum, dobbiamo difenderlo anche con la forza
Istituzioni ed economia
C'è ancora un'alternativa ad un intervento militare in Libia, per ripristinare condizioni minime di sicurezza e stabilità politica, o siamo ormai oltre ogni possibilità di soluzione negoziale? Ogni giorno che passa fa pendere la bilancia nella direzione peggiore, quella dell'intervento militare di una coalizione internazionale. Senza le ritrosie occidentali, minacciato molto da vicino, l'Egitto ha già dato una prima immediata risposta, usando le prime ore dell'alba per bombardare obiettivi strategici del Califfato in Libia. Di certo, è complicato pensare che in Libia si possa procedere con una operazione di "peacekeeping", perché di pace da mantenere proprio non ce n'è.
Lo Stato Islamico ha stabilito la sua capitale nella popolosa città orientale di Derna e sta consolidando la sua presenza a Sirte, dove ha ormai il controllo di radio e tv, si insinua a Bengasi, fa capolino in alcune zone di Tripoli. L'Isis beneficia di una situazione generale ormai degenerata. La Libia ha due governi rivali tra loro, uno più o meno secolarizzato basato a Tobruk e sostenuto dall'Egitto; l'altro di stanza a Tripoli, spalleggiato da Turchia, Qatar e Sudan, animato da varie fazioni islamiste. Due governi, dunque, ma anche due parlamenti, due rivendicazioni di controllo della banca centrale e della compagnia petrolifera nazionale, nessuna polizia capace di assicurare il controllo del paese, una serie indecifrabile di milizie che terrorizzano i 6 milioni di abitanti e distruggono quel po' di infrastrutture e servizi ancora in funzione.
I confini del paese sono ormai un colabrodo, in ingresso come in uscita. E "in uscita" significa anche verso le coste italiane e maltesi, con i famigerati barconi dei disperati che potrebbero aumentare significativamente nelle prossime settimane e nei mesi a venire e su cui potrebbero infiltrarsi senza troppi problemi le nuove frange terroristiche islamiste. Per non parlare del fatto che la Sicilia è ormai a portata di missile.
La principale certezza per l'Italia, Europa e i paesi vicini (Tunisia e Egitto in primis) è la necessità di individuare e perseguire una strategia lucida, attiva e condivisa nel minor tempo possibile. Il governo italiano si è esposto molto negli ultimi tre giorni, con dichiarazioni dei suoi rappresentanti tese a portare la questione libica al massimo livello sul tavolo europeo, Nato e Onu. I principali partner occidentali sono assorbiti dal dossier ucraino, alla consueta debolezza europea si associa la poca reattività degli Stati Uniti: ciò è molto preoccupante.
Qualunque cosa accadrà da qui in avanti, il governo italiano - ma direi la politica nel suo complesso - ha un obbligo assoluto: evitare di apparire titubante. La prudenza nelle dichiarazioni è sempre d'obbligo, soprattutto perché c'è una impressionante componente mediatica in tutto ciò che il terrorismo islamista fa, ma la prudenza non può diventare incertezza o altalenanza. Più l'Italia sarà determinata, più sarà difficile per la comunità internazionale non assumere decisioni, anche molto difficili. Quel che accade in Libia riguarda la nostra sicurezza nazionale, i nostri interessi strategici - anche il petrolio e il gas - e la nostra libertà.
Che ci piaccia o meno, quel Mare tra la Sicilia e le coste africane è davvero Nostrum e dobbiamo difenderlo. Anche se questo dovesse comportare la più drammatica delle scelte per uno Stato democratico: assicurare la pace con la forza.