Dal Fronte repubblicano al Fronte anti-caos: Bayrou si impone a Macron
Istituzioni ed economia
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François Bayrou, nato nel 1951 a Bordéres nei Pirenei Atlantici da una famiglia di agricoltori modesti, cattolico, padre di sei figli, sindaco di Pau, politico di lungo corso è il quarto primo ministro francese nell’anno solare 2024. Erede di una tradizione cristiano-democratica, questo laureato in lettere classiche, autore di un libro su Enrico IV e di diversi saggi, seguace di Jean Lecanuet ed ex collaboratore di Raymond Barre, è riuscito ad imporre la sua nomina a Macron che avrebbe preferito Roland Lescure o Sébastien Lecornu sicuramente più docili. Situazione simile a quella verificatasi nel 2005 quando Dominique de Villepin costrinse Chirac a sceglierlo per Matignon al posto di Michèle Alliot-Marie.
Se è vero che Bayrou è un alleato della prima ora, si sussurra nei corridoi che Macron avrebbe volentieri evitato di nominare un peso massimo che intende avvalersi in pieno delle sue prerogative e che tenderà ad applicare l’integralità delle regole costituzionali facendo di se stesso colui che determina e guida la politica della Nazione. E questa autonomia di Bayrou di fronte a Macron avrà il suo peso di fronte ad un’Assemblea Nazionale che ha appena censurato, dopo appena 99 giorni, il precedente primo ministro Barnier.
Parafrasando Mitterand nel 1981, Bayrou, appena nominato, ha dichiarato; “finalmente iniziano i guai”. Per Bayrou l’ossessione per l’equilibrio non deve essere un freno all’azione. Scalare l’Himalaya del debito sarà la sua prima missione. Pare che dietro le resistenze alla nomina di Bayrou ci sia stata la mano di Sarkozy, suo rivale storico, che non ha dimenticato l’appoggio dato da Bayrou, nel 2012, a François Hollande. I rapporti con i gollisti non sono mai stati idilliaci: “ho resistito a Chirac e Sarkozy, posso resistere alla crisi attuale” ha dichiarato, spavaldo, di recente.
Nel 2002, Jacques Chirac creò l’UMP, fondendo il partito gollista RPR e i giscardiani dell’UDF. Bayrou non volle aderire a quella fusione e creò il MoDem posizionandosi al centro dello schieramento politico e non lesinando critiche a Chirac ma soprattutto a Sarkozy che accusò di essere troppo schierato a destra. Sarkozy con il suo linguaggio trasgressivo, il suo decisionismo, la sua voglia di sfidare il “politicamente corretto”, di infrangere i tabù e di sedurre le masse scandalizzando le “elites” era diventato la bestia nera di Bayrou che tentò un’improbabile alleanza centrista con Borloo prima di schierarsi definitivamente con Hollande.
Candidato alle elezioni presidenziali del 2002, 2007 e 2012 ha raggiunto lo schieramento macronista nel 2017 anche se inizialmente accusava Macron di essere il “candidato dei soldi”. Da alleato non ha potuto fare a meno di criticare provvedimenti come la modifica dell’imposta sulla fortuna o la dissoluzione di giugno. Bayrou è noto per avere un carattere difficile: nonostante il suo rapporto privilegiato con Macron, Bayrou non esita a far conoscere pubblicamente i suoi disaccordi anche in maniera veemente.
La nomina di Bayrou era nell’aria da tempo e venne rallentata a causa dell’inchiesta sugli impieghi fittizi ad assistenti parlamentari; inchiesta che lo costrinse alle dimissioni da ministro della giustizia e guardasigilli nel 2017 dopo appena 37 giorni dalla nomina. Nel febbraio di quest’anno è stato prosciolto. Un elemento decisivo è la non ostilità di Marine Le Pen a cui Bayrou diede la sua firma (parrainage) per raggiungere le 500 firme di eletti necessarie per presentare la candidatura all’elezione presidenziale del 2022; sempre Bayrou ha criticato il pubblico ministero che ha richiesto l’ineleggibilità per cinque anni per Marine Le Pen (sentenza attesa il prossimo 31 marzo) per lo stesso capo d’imputazione che lo riguardò in precedenza.
Il governo, nei piani di Macron, dovrebbe resistere trenta mesi fino alle prossime elezioni presidenziali nel 2027. La Francia è in declino; un declino che investe tutti i settori: l’economia, la sicurezza, la tenuta sociale e la diplomazia: non a caso Bruxelles è riuscita a portare in porto il Mercosur che i francesi avevano bloccato per oltre un ventennio.
L’emiciclo è frammentato in tre blocchi e undici partiti: 195 sono i deputati del Fronte Popolare di sinistra; i 75 deputati della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon hanno già annunciato una mozione di censura, mentre i socialisti di Olivier Faure mantengono un atteggiamento più prudente; l’estrema destra (RN e Eric Ciotti) con 142 deputati resta alla finestra, e centristi, macronisti, gollisti con 240 deputati dovrebbero appoggiare il Governo. Ricordiamo che i deputati sono 577, non è richiesto il voto di fiducia ma è importante che un’eventuale mozione di censura non ottenga la maggioranza di 289 voti.
I repubblicani, nonostante non siano entusiasti della nomina di Bayrou per via delle vecchie ruggini con Sarkozy, sono pronti a sostenere il Governo a condizione che siano riconfermati Bruno Retailleau all’Interno e Annie Genevard all’Agricoltura. François Bayrou dovrà superare le divisioni per formare un governo di interesse generale per stabilizzare il paese. Una riforma prevista è quella dell’adozione del sistema proporzionale per l’elezione dei deputati che segnerà un ritorno al parlamentarismo e ai governi di coalizione: tutto l’opposto di quello che voleva de Gaulle con la creazione della V° Repubblica. Una situazione che ricorda la prima Repubblica italiana.
Non a caso Bayrou si vanta di essere l’erede dell’antica tradizione della democrazia cristiana. E non è un caso che l’ex ministro Jean Michel Blanquer abbia accusato Bayrou di preferire le parole agli atti, l’apparenza alla realtà, le gioie di Narciso alle fatiche di Ercole.
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