referendum cittadinanza grande

Un aspetto interessante dell’ultima vertiginosa raccolta firma per il “referendum cittadinanza” è stata la capacità di declinare uno strumento come il referendum nell’istantaneismo della società attuale.

In particolare lo strumento referendario, per come tuttora regolamentato, si trova a essere “invecchiato male” a valle (un quorum molto più difficile da raggiungere rispetto a un tempo) e allo stesso tempo giovanissimo (direi adolescenziale) a monte, con la nuova modalità di raccolta firme tramite spid.

Una campagna di un decennio fa recitava “liking is not helping”: mettere like a immagini ritraenti tragedie oppure condividerle poteva dare la sensazione di aiutare, alleviando la coscienza degli utenti, a costo zero, senza effettivamente aiutare in alcun modo.
Oggi, sovrapponendo la viralità delle catene di Instagram all’immediatezza dello spid, quella che è poco più di una condivisione o di un like diventa un aiuto effettivo e politico. È dunque diventato “troppo facile” raccogliere le 500mila firme? No, perché molti altri tentativi sono falliti, e non sarebbe comunque un male.

L’aspetto interessante è che la nuova modalità di raccolta firme conferisce alla viralità un nuovo ruolo politico, che poi va peraltro a scontrarsi con le complessità e i barocchismi del sistema istituzionale, nonché con il ridotto tasso di partecipazione democratica della politica di oggi. E seguirà gli stessi riflessi della vitalità: una campagna che riesca a destare istantaneamente una particolare gratificazione, spesso narcisistica e identitaria, in chi vi partecipa avrà molte più possibilità di successo rispetto a un tempo, come qualsiasi altro fenomeno capace di diventare virale sui social.

Il medium, dopo essere “divenuto messaggio”, assurge ulteriormente ad attivismo: performativo, emozionale, istantaneo, individualistico. E nondimeno ufficialmente politico.