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Il dibattito nazionale verso le elezioni europee si sta dimostrando povero di contenuti: responsabilità è di gran parte di leader e partiti, che sembrano rimanere nell'alveo di una contrapposizione destra-sinistra da pura politica interna, totalmente strabica rispetto ai temi sui quali dovrebbe misurarsi il confronto.

Sembra quasi si voglia evitare di parlare delle vere questioni internazionali e comunitarie, il che segnala un disinteresse di fondo. Soprattutto in una fase in cui l'Unione europea deve e dovrà affrontare sfide epocali, in un contesto internazionale in rapida evoluzione, tale approccio appare completamente inadeguato. Non ci si può limitare a un sondaggio d'opinione per comprendere il valore delle proprie modeste ambizioni, testando gli indici del consenso personale.

I cleavages, le fratture che dovrebbero fare da sfondo alla competizione elettorale, vanno ben oltre un semplice posizionamento tatticista, quasi a "replicare" le elezioni politiche. Europeismo e sovranismo, società aperta e ritorno a un cieco nazionalismo, stato di diritto e populismo giudiziario, evoluzione verso modelli federali declinabili e isolazionismo massimalista da futuro e inevitabile Paese vassallo sono solo alcune delle contrapposizioni dalle quali sarebbe necessario partire.

Se la politica non riesce poi ad entrare nella sostanza delle tematiche in autonomia, è compito dell'informazione spostare la discussione verso quei cruciali binari. Facendo (e facendosi rispondere ad) alcune domande, sarà possibile misurare la maturità delle forze politiche e il loro cercare di far comprendere rilevanza di Unione ed Europa nel costruire il futuro.

Innanzitutto, è prioritario discutere del processo decisionale dell'Ue: esso infatti, se non concretizzerà le ipotesi di riforma nell'ottica del superamento del diritto di veto, costringerà l'Unione a paralisi deliberative. Anche per questo, il discorso sull'allargamento (a Ucraina e Balcani occidentali) va accompagnato alla sostituzione del voto all'unanimità nelle questioni decisive di integrazione politico-istituzionale con votazioni "anti-ostruzionistiche" a maggioranza qualificata.L'Europa deve scegliere a maggioranza, non potendo permettersi di restare sotto ricatto dell'Orban di turno. In questo senso va chiesto ai partiti che opinione hanno nel tema della riforma del processo decisionale e se sono concordi nel lasciarsi alle spalle il diritto di veto.

Ambito altrettanto fondamentale è quello che riguarda la politica estera e di sicurezza. Lo scenario internazionale rende sempre più necessario unire le forze sul piano della Difesa, nella direzione di un esercito europeo, uniformando gli standard dei sistemi di difesa (scelta certamente più efficace rispetto a 27 standard nazionali) e rivedendo inevitabilmente anche la rappresentanza esterna dell'Ue nelle istituzioni diplomatiche sovranazionali.

I partiti devono far conoscere chiaramente la loro posizione in merito a una politica estera e di difesa comune, a maggior ragione alla luce del possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca e al caos che ne scaturirebbe in sede Nato. In linea con il superamento del metodo intergovernativo dell'unanimità a favore di quello comunitario, sarebbe importante pure chiedere di discutere di elezione diretta del Presidente della Commissione, così come parlare di seggio permanente europeo in seno alle Nazioni Unite. O domandare, quantomeno, se si è d'accordo col partire con il primo passo, e cioè unificare le presidenze di Commissione e Consiglio europeo (già possibile a Trattato invariato). Ciò permetterebbe di parlare con una sola voce, ancora più forte, aprendo la strada per altre riforme comunitarie.

Tema rilevantissimo è poi quello che riguarda il bilancio Ue. I candidati dovrebbero dire chiaramente se sono concordi nell'aumentare il bilancio comunitario, e come fare (nuove risorse proprie, riallocazione dei fondi già esistenti, debito pubblico comune). Da qui si aprirebbe il capitolo sulla produzione dei beni pubblici europei, investimenti realizzabili solo riunendo competenze e know-how dei vari Paesi. Ancora, connesso in qualche modo ad esso, è l'ancoraggio dei fondi europei a valori fondamentali, ad esempio il rispetto dello Stato di diritto. Come pilastro fondante dell'Unione, l'articolo 7 del Trattato sull'Ue deve ora essere applicato con maggiore coraggio. Condizionare l'accesso ai fondi europei risulterebbe importante anche in relazione al rispetto delle condizioni di sostenibilità fiscale concordate con l'Unione, nel quadro comune del nuovo Patto di stabilità e crescita.

Una politica comune per governare il fenomeno dell'immigrazione, presupponendo ad esempio una redistribuzione obbligatoria dei migranti e richiedenti asilo (come anche un aiuto solido allo sviluppo dei Paesi di origine dei migranti) è tema spinoso e complesso, ma dal quale non può prescindere un sano dibattito elettorale volto a scegliere i nostri rappresentanti al Parlamento europeo. Serve un'Europa più forte ed integrata, che salvaguardi e rafforzi la posizione dell'Ue nello scacchiere internazionale, per tutelare insieme gli interessi italiani ed europei, che trovano piena coincidenza.

Il messaggio europeista e la sua leva politica non devono essere visti infatti in contrapposizione all'identità nazionale, ma accompagnarla, andando di pari passo con essa. Una assenza, insieme culturale e psicologica, nella sensibilità del sistema Paese è purtroppo la mancata percezione del fatto che l'interesse nazionale si difende solo in Europa.

Mancano disegni di tipo sentimentale ed emozionale intorno all'idea europea. Non si tratta di costruire ondate pop propagandistiche, quanto piuttosto chiarire che solo in Europa siamo in grado di contare, di proteggere diritti fondamentali e democrazia grazie alla forza istituzionale dello Stato di diritto. Ripartire da Ventotene, con serietà, ottimismo e forza: la politica deve andare oltre demagogia e paura, in un patto di collaborazione virtuosa con il sistema mediatico e informativo, promuovendo un corretto dibattito. Il presupposto è il non poter ignorare i benefici del multilateralismo, che hanno fatto crescere, trasformandolo, il nostro continente.