Letta Calenda grande

Il patto elettorale di ieri tra PD e Azione/+Europa è stato generalmente giustificato (anche dal protagonista più riluttante, Calenda) come un accordo obbligato per fronteggiare il pericolo “delle destre”, che in ossequio a un inveterato conformismo lessicale nell’Italia progressista si declinano sempre al plurale. “Destre” anche quando, come oggi è evidente, di destra ne è rimasta una sola, la peggiore.

Si diceva “destre”, un tempo, quando almeno di destra ce n’era più d’una, facendo di tutta l’erba non progressista un unico fascio para-fascista: la destra liberale, quella cattolica, quella nazionalista accomunate, in quanto contrarie alla sinistra, da un sospetto di tossicità. Al plurale dunque non per distinguerle, ma per parificarle, rendendole tutte ugualmente meritevoli di incessante sorveglianza democratica.

In ogni caso, per tornare a bomba, si ritiene che sia l’eccezionalità della situazione a giustificare l’eccezione di un’alleanza fatta di un insieme di accordi bilaterali, che vedono al centro sempre il PD, con cui tutti gli altri alleati si accordano senza però accordarsi tra di loro. Così Calenda si allea con il PD, che si allea con Bonelli, che non si allea con Calenda, che però è alleato al PD ecc.
Ammettendo e non concedendo la possibilità di un pericolo autoritario, questo sarebbe legato al rischio che “le destre” vincano le elezioni e dunque ottengano la maggioranza dei seggi. Per scongiurare questo risultato non è affatto detto che vi sia (a questo punto: fosse) una sola strada e non ve ne siano (ormai: fossero) di alternative; soprattutto non è detto che il PD avrebbe, in caso di plebiscito pro Meloni, responsabilità inferiori a quelle di chi sia stato renitente alla leva della resistenza democratica, cioè contrario all’alleanza con il PD (al momento il solo Renzi).

Oggi, a rendere possibile lo scenario della vittoria “delle destre” è in primo luogo una legge elettorale voluta dal PD proprio per suggellare la minorità politica dei partner elettorali e consolidare il proprio monopolio sull’area progressista. Legge elettorale fondata sul principio di coalizione pre-elettorale che non esiste in nessun paese al mondo, che il PD in questa legislatura ha impedito venisse cambiata – ancora nello scorso dicembre alla festa di Atreju Letta prometteva a Meloni che con lui alla guida del PD questo non sarebbe successo – e che ora il PD utilizza per richiamare all’ordine o mettere a cuccia tutti i partiti che vogliono sottrarsi dalle maglie di un bipolarismo coatto, che non dipende dai risultati elettorali, ma che li predetermina.

Per fare saltare questi meccanismi infernali che potrebbero dare “alle destre” al 45% dei voti anche il 55% dei seggi, vi sono (anzi: erano) due strategie nettamente alternative. La prima era quella di rendere la sfida nei collegi uninominali più agevole per un fronte avverso a quello “delle destre”. La seconda era quella di favorire un’offerta politica in grado di contendere alle destre una parte dei suoi elettori.

Il PD ha imposto e Calenda ha accettato la prima strategia, che, posto che funzioni, garantisce forse in una quindicina/ventina di collegi, sulla base dei dati attuali, ai candidati PD&C. di sorpassare i candidati “delle destre”. Sempre che – pericolo molto concreto – l’alleanza con la sinistra non disarmi Azione, che acquisendo molte figure di rilevo di Forza Italia sembrava indirizzata a fare una campagna proprio sull’area moderata – quella più in difficoltà – del fronte Berlusconi-Salvini-Meloni. Una gara solitaria di Azione in alleanza con Renzi (che tutti si impegnano con zelo omicida-suicida a isolare) avrebbe potuto consentire un recupero significativo su questo elettorato. Non è detto che sarebbe avvenuto, ma non è detto neppure che accada il contrario e fra i sondaggisti le idee sono le più varie.

Invece si è andati sulla prima strada, presentando questa scelta non come un calcolo, ma come un dovere, non come una opportunità, ma come un’ingiunzione della storia, che (guarda caso) però favorisce proprio gli interessi del PD, “cespuglizzando” la sua coalizione, fatta di partiti destinati in parte a non superare lo sbarramento del 3% e quindi a regalare voti e seggi al partito di Letta. Come spesso succede nelle retoriche della sinistra, i valori alti e nobili coprono le vergogne dell’impostura o dell’interesse.

Sempre in termini elettorali, rimane il fatto che se “le destre” brutte sporche e cattive sono oltre il 45% e rischiano di sfondare il 50%, oltre a dare un giudizio severo sullo stato della nostra democrazia, bisognerebbe anche studiare alternative politiche in grado di ridimensionarne il peso, a meno che non si giunga a teorizzare come principio costituzionale quello di impedire che la maggioranza degli elettori – quando votino per “le destre” – determini il corso della politica nazionale.

Se inoltre la Costituzione e la libertà dell’Italia sono a così fortissimo rischio, per quale ragione il PD ritiene di potere tenere fuori da una coalizione deliberatamente non programmatica il M5S che su tutti i temi rilevanti – proprio tutti – ha posizioni pienamente sovrapponibili a quelli della coppia Bonelli-Fratoianni assurti un po’ immeritatamente a pietre dello scandalo, visto che le loro posizioni hanno ampia cittadinanza pure dentro il PD? Che differenza ci sarebbe tra Fratoianni e Emiliano?

Lo scenario tecnicamente migliore per competere con “le destre” sarebbe stato quella di un’alleanza dell’ex campo largo fondata sull’accordo M5S-PD, una forza liberaldemocratica capace di fare concorrenza “alle destre” dal centro e una forza di ultradestra pronta a farle concorrenza dal lato opposto. Se l’obiettivo di Letta fosse stato davvero quello di “fermare le destre”, avrebbe dovuto implorare Calenda di fare il Terzo Polo con Renzi, reimbarcare Conte e raccoglierei le firme necessarie alla presentazione della lista di Italexit.

La strada che ha scelto non è invece quella migliore per “fermare le destre” ma per massimizzare il risultato del PD usando lo spauracchio del voto utile contro il M5S e per neutralizzare la crescita, anzi proprio la nascita, di un soggetto liberal-democratico, lavorando sulle divisioni tra Renzi e Calenda.

Ma se Letta dimostra di non credere così tanto a un imminente pericolo per la democrazia italiana, perché avrebbero il dovere di crederci tutti i partecipanti a questa curiosa ammucchiata selettiva ordinata dalle stanze, per definizione superiori, del Nazareno?

ps: “Le destre” tra virgolette e al plurale in tutto l’articolo servono appunto a suscitare l’insopportabilità di questo lessico.