mattarella grande

Il 14 aprile del 2013 uscì, su La Stampa, un'intervista all'allora Capo dello Stato titolata «L'ultima domenica di Napolitano»: nel primo paragrafo si legge di «scatoloni» e di «trasloco definitivo» – superfluo ricordare come finì. Esattamente 65 anni prima, per la precisione l'11 maggio del 1948, Luigi Einaudi venne eletto (per la prima volta dal Parlamento) Presidente della Repubblica al quarto scrutinio: in seguito a una manovra di De Gasperi, la conferma di De Nicola – che pure appariva scontata – saltò clamorosamente.

Il 24 giugno del 1985, invece, i “grandi elettori” negarono il bis a Sandro Pertini, il Presidente show-man che vi ambiva più o meno esplicitamente, eleggendo invece Francesco Cossiga (a soli 57 anni, il più giovane mai eletto) al primo scrutinio: lo scelsero proprio in funzione per così dire “post-pertiniana”: tanto esuberante era il partigiano quanto taciturno era il "sardomuto" – anche in questo caso è superfluo ricordare come finì. È, ancora, la maledizione o, se vogliamo, lo sberleffo, del Quirinale, che chiude le porte a chi accarezza l'idea del bis e chiude dentro chi vuole fuggire.

Ora, nel breve termine la rielezione di Mattarella è – a dispetto di quanto twittato l’altro ieri da Tomaso Montanari, che notoriamente ne azzecca pochissime – una svolta anti-gattopardesca: tutto è rimasto com'è… perché tutto cambi; è in arrivo un redde rationem tra ala dimaiana e ala contiana nel M5S, ci sono tensioni tra governisti giorgettiani e leghisti descamisados, c'è una frattura scomposta dentro il fronte Lega-Fi-Fd'I. Nel lungo termine, il secondo bis nel giro di dieci anni rischia di normalizzare la rielezione del Capo dello Stato uscente e dunque di politicizzarne il ruolo. I Padri Costituenti optarono, pur con qualche esitazione, per la rieleggibilità teorica; le forze politico-partitiche, non rieleggendo neanche un Capo dello Stato fino al 2015, per la spoliticizzazione di fatto. Come evolverà la cosa?

Questa secondo bis e le modalità rocambolesche con cui vi si è pervenuti hanno fatto ventilare l’ipotesi di introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica anche a personalità che non si erano mai espresse in tal senso (a Giorgia Meloni, infatti, si sono aggiunti, fra gli altri, anche Matteo Renzi e Paolo Mieli); la mediocrità dei “grandi elettori”, tuttavia, non è di per sé una motivazione sufficiente per caldeggiare una svolta presidenzialista o semipresidenzialista – anche se naturalmente di ragioni buone ce ne sono diverse. Ad ogni modo, è chiaro che l’introduzione ex abrupto di un modello così estraneo alle nostre tradizioni politico-istituzionali richiederebbe ex post una lunghissima fase di rodaggio e “assestamento” e, ex ante, un radicale ripensamento di sistema di checks and balances.

Giusto in tema di pesi e contrappesi va sottolineato che la riconferma di Mattarella – più precisamente l’effetto di stabilizzazione che essa determinerà per la figura del Presidente del Consiglio – rappresenta l’ennesimo sintomo dell’evoluzione in senso dualista del nostro parlamentarismo: il vertice del governo, cioè, beneficia della duplice fiducia delle aule parlamentari e del Capo dello Stato; così è stato, a intermittenza, dal governo Ciampi in poi, cioè da quando i governi del presidente – per l’appunto – sono diventati via via più frequenti. In quest’ottica, per tornare all’improrogabile esigenza di intervenire nell’architettura politico-istituzionale del Paese (esigenza improrogabile dagli anni ’80 e tuttavia sistematicamente prorogata fino a oggi…), sarebbe forse il caso di assecondare la Costituzione materiale e istituzionalizzare quel “presidenzialismo alternante” individuato, fra gli altri, da Giovanni Sartori come forma di governo di fatto da Tangentopoli in poi.

A proposito di tangentopoli e di pesi e contrappesi è infine opportuno sottolineare che nell'ultimo scrutinio i candidati-contraltare a Mattarella (candidati di bandiera, va da sé) dei due gruppi di grandi elettori "post-antisistema" – Fd'I e gruppomististi post-grillini e marxisti – sono stati due magistrati, rispettivamente Carlo Nordio e Nino Di Matteo; questo la dice lunga sull'incapacità dei partiti, finanche i meno "de-ideologizzati", di formare homines novi e, soprattutto, sulla consapevolezza che hanno circa l'antagonismo trentennale tra potere giudiziario e politico. La riforma della giustizia è a sua volta improrogabile, sia di per sé sia, com’è noto, ai fini dell’accesso alla prossima tranche di finanziamenti del Next Generation EU; all’indomani della sua rielezione, non si può non sottolineare che proprio il dossier giustizia è stato il più trascurato, da Mattarella, nel suo primo settennato (Mattarella che fra le altre cose nel ‘93 subì un colpo di coda del quasi-golpe manipulitista: accusato sbrigativamente di aver ricevuto tangenti, venne assolto solo nel 2000).

Si è a gran voce invocata “una donna” – da talune e taluni con una verve e una dabbenaggine tali da far individuare, nella loro mentalità, un orizzonte politico-culturale fermo a Caterina Caselli o Anna Tatangelo piuttosto che proiettato verso Simone de Beauvoir o Nilde Iotti – e sia detto in prospettiva che proprio “una donna”, cioè Marta Cartabia, dal Quirinale e dunque da presidente del Csm potrebbe avere un impatto “soddisfacente” sul fronte della giustizia. Ma magari forte di una ri-legittimazione così plebiscitaria, nel suo secondo settennato (se tale sarà…) Mattarella non si limiterà all’esemplare atarassia con cui ha sino ad oggi gestito la formazione e le crisi dei governi interagendo con partiti liquidi e leader populisti: potrebbe auspicabilmente riservare delle sorprese anche su altri fronti.