Monti Draghi grande

Il Governo Draghi non ha avuto neppure la fortuna del Governo Monti. Di prendere, cioè, avvio in una fase in cui il fallimento del sistema politico aveva assunto la forma visibile di un imminente default finanziario e dunque autorizzava e consentiva una strada necessitata, formalmente democratica, perché parlamentare, ma non consensuale, per una serie di riforme salva-vita, a partire da quella previdenziale, su cui l’esecutivo del professore bocconiano costruì le condizioni del whatever it takes di Mario Draghi.

Draghi arriva a Palazzo Chigi nel pieno di una crisi sanitaria e economica “narcotizzata” dal Quantitative Easing e dal Recovery Fund, in cui tutti gli apprendisti stregoni, che ha dovuto imbarcare sull’arca di Noè della sua maggioranza, pensano (e dicono) che i soldi non sono un problema e che l’Italia potrà ripartire, quando i vaccini avranno debellato o reso inoffensivamente endemico il Covid-19, esattamente come prima, anche se gravata da un debito ancora più mostruoso, con un sistema produttivo falcidiato e con circa 2 milioni di disoccupati reali (se va bene) in più.

Al Governo Monti la sospensione dell’ottimismo stolido degli aerei pieni e dei ristoranti affollati ha offerto una finestra d’azione, durata non più di qualche mese, per fare il necessario. Passata la paura del default, è passata anche la disponibilità delle forze politiche verso l'agenda Monti. Draghi dovrà fare l’indispensabile per non fare fallire, con decine di migliaia di morti e decine di miliardi di debiti in più, una campagna vaccinale nata sotto i peggiori auspici e per fare in modo che i 209 miliardi del Next Generation Eu siano spesi decentemente. Il tutto in una situazione in cui qualunque capo partito continuerà a delirare per conto proprio e a coltivare le angosce, le ossessioni e i desideri del proprio pubblico.

Purtroppo con Draghi il “ritorno della realtà”, il peso morale della verità del disastro politico italiano è meno evidente e più disputabile e quindi il perimetro della sua attività è limitato e circoscritto. Anche i più entusiasti e ottimisti sostenitori dell’ex presidente della BCE sanno che nel bilancio del suo Governo finiranno i conti separati dei partiti della sua coalizione, che, in cambio di un mandato pieno sul Recovery e forse (ma non è detto) sulla gestione della pandemia, chiederanno ciascuno soddisfazione delle proprie richieste, nuove e antiche. Così potrà accadere che sia il Governo Draghi, ad esempio, a completare la “nazionalizzazione” di Autostrade, Ilva e Alitalia, a dare corso a una riedizione, magari ridimensionata, ma prevedibile, di quota 100, a toccare solo tangenzialmente il reddito di cittadinanza (che ha abolito la povertà) e a lasciare la giustizia penale nella terra di nessuno contesa dai signori della guerra del tribalismo giudiziario. E si potrebbe continuare.

Basterebbe scorrere l’elenco dei ministri e dei sottosegretari per vedere un mai così assurdo mischione tra il meglio e il peggio, tra l’album dei sogni e il museo degli orrori. Non è una responsabilità di Draghi, è una vera e propria croce che deve portare per traghettare intera e meno malconcia possibile la società italiana fuori dalla duplice emergenza sanitaria e economica, mentre il grosso della ciurma continua a suonare e ballare sulla tolda del Titanic Italia. Saranno, insomma, più difficili le operazioni verità e non per colpa del presidente del Consiglio. D’altra parte è difficile che gestioni straordinarie e commissariali della crisi politica italiana possano modificare, senza il loro concorso, la qualità degli “attori democratici”, cioè di elettori ed eletti, opinione pubblica e partiti politici.