mattarella draghi

Al secondo giro di consultazioni, non sembra più in dubbio che Mario Draghi sarà il prossimo Presidente del Consiglio, mentre rimangono vari dubbi su natura e durata del suo esecutivo. Da molti punti di vista, gli ampi sostegni da Grillo a Salvini sono una condizione ideale perché il governo “di tutti” non sia il governo “di qualcuno” e in particolare di Grillo e di Salvini.

Ma la neutralizzazione delle istanze più estreme e politicamente perniciose e la messa in sicurezza dell’esecutivo dalle mattane propagandistiche dell’uno o dell’altro potrebbero anche coincidere – anzi è probabile che coincideranno – con una rigida circoscrizione contrattuale delle responsabilità dell’esecutivo.

Più che il perimetro della maggioranza, che sarà largo, il problema sarà il perimetro della libertà e dell’effettivo potere di Draghi che rischia di essere molto stretto e limitato all’immediatamente necessario: rifare i progetti per il Next Generation Eu, negoziare con l’Europa un rientro dolce nei parametri economici post Covid e magari (ma non è detto) prendere in mano il dossier vaccinazioni e l’organizzazione della risposta sanitaria all’emergenza Covid, che in Italia, malgrado la celebrazione del “modello italiano”, continua a fare acqua da tutte le parti.

Se anche così fosse, ovviamente, sarebbe un importante passo avanti, ma temporaneo e non “strutturale”. A meno che nel frattempo non succeda qualcosa sul piano politico: cosa che tutti gli azionisti di riferimento del nuovo esecutivo si adopereranno per non fare succedere e per tornare, dopo Draghi, allo schema demo-populisti contro populo-sovranisti lasciando che il suo Governo sia una sorta di parentesi, non un punto di svolta politica. Anche perché questo percorso, propiziato da Renzi e avallato dal Quirinale, più che a rimescolare il mercato politico italiano sembra indirizzato alla sostituzione di Mattarella con Draghi stesso, come Presidente di garanzia europea per un settennato, dove vi saranno come non mai rapporti di dipendenza strettissima dalle scelte e dai fondi europei.

In forme diverse, tutti i maggiori partiti disponibili a sostenere Draghi in un programma di emergenza sono ampiamente e dichiaratamente indisponibili a mettere in discussione le cause politiche di quel declino economico e civile, che rende oggi necessario, per l’ennesima volta, il soccorso esterno di un civil servant estraneo al circuito politico. Accadde anche con Ciampi trent’anni fa, e con Monti dieci anni fa. E la strada e il cursus honorum su cui Draghi è incamminato sembra essere quello di Ciampi, non quello di Monti, che provò a incunearsi in un bipolarismo asfittico con un’offerta politica a immagine e somiglianza del suo Governo.

A rappresentare istanze politicamente affini a quelle del presidente incaricato e a esprimere una cultura in questo alternativa al mainstream trasversale sono forze e personalità politiche, il cui peso parlamentare è irrilevante e quello politico-elettorale molto limitato. Difficilmente però sarà Draghi, oggi e più ancora domani, a guidare uno schieramento a lui ispirato. Ma difficilmente la democrazia italiana, senza uno scarto dallo schema del bipolarismo populisti versus sovranisti, potrà sperare di guarire da una malattia che sembra "la normalità" solo perchè continua ad affliggere la assoluta maggioranza degli eletti e degli elettori.