Orbán

Secondo l'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea (TUE) “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto [sottolineatura mia] e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.”

Uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto è la separazione del potere esecutivo da quello legislativo e da quello giudiziario. Tuttavia, questo principio non è pienamente rispettato dall’art. 7 commi 2 e 3 del TUE. Infatti vi si legge che “il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l'esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.”

Quindi è in pratica possibile che il Consiglio europeo (che resta un organo politico), ancorché poco coerente nella sua natura e nelle sue funzioni con la costruzione dell'Europa "comune", possa contemporaneamente svolgere le funzioni giudiziarie di accusatore e giudice in materia di rispetto dei valori comuni degli Stati membri, sebbene occorra la previa autorizzazione del Parlamento Europeo.

Polonia ed Ungheria, che fino ad ora si sono protette a vicenda per impedire al Consiglio europeo di conseguire l’unanimità, non avevano dunque tutti i torti a sollevare obiezioni sul progetto di regolamento per la protezione del bilancio UE contro le frodi (il cui obiettivo è di colpire quelle largamente praticate da questi due paesi che fanno pervenire i fondi UE solo alle cerchie conniventi con gli uomini al potere a Budapest e a Varsavia). Avrebbero tuttavia dovuto chiedere che a pronunziarsi su accuse eventualmente formulate dal Parlamento europeo fosse la Corte di Giustizia dell’Unione. Ma questo poteva ragionevolmente essere l’obiettivo delle due democrazie autoritarie?

Probabilmente le loro mire erano altre: per questa ragione buona parte delle pertinenti conclusioni del Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2020, che ricercava una mediazione politica, sono pure petizioni di principio. Per esempio è stato previsto che, come ovvio, si ricorrerà alle procedure sanzionatorie indicate nella proposta di Regolamento contro le frodi e per la protezione del bilancio UE, con obiettività, nell'ambito di un “processo” equo e leale basato su fatti e che le sanzioni saranno comminate solo se sarà debitamente accertato un legame sufficientemente diretto tra una lista tassativa di situazioni che ledano concretamente l’interesse finanziario dell'Unione (come è norma in materia di penalità e già prevede la normativa proposta).

Anche il fatto che le conclusioni affermino (I.2) che il Regolamento sullo stato di diritto «deve essere applicato...nel pieno rispetto... delle identità nazionali degli Stati Membri inerenti alle loro fondamentali strutture politiche e costituzionali» potrebbe non essere un modo per riconoscere l'autoritarismo di quei Paesi come loro specificità costituzionale, perché il concetto non esclude la sanzionabilità delle violazioni dello Stato di diritto e perfino potrebbe prefigurare sanzioni specifiche per tali stati membri allo scopo di riavvicinarli più rapidamente ai valori comuni.

Ma il Leviatano Europeo (il Consiglio europeo) ha la capacità di farsi “giudice”? Con tutti i requisiti indicati, c’è già a Lussemburgo un’apposita Corte. Inoltre la legislazione in fieri sarà applicata (anche in questo caso ovviamente) in via residuale ovvero solo nel caso in cui le altre procedure sanzionatorie previste dai trattati “non permettano di proteggere il bilancio dell’Unione più efficacemente”

A questo punto vengono inserite in maniera anodina alcune misure dilatorie. È richiesto alla Commissione di sviluppare delle linee direttive (di tutta evidenza, interpretative, del [futuro] diritto dell’Unione, [prive dunque di qualunque valore giuridico], perché come noto l'interpretazione del diritto dell'Unione spetta solo ed unicamente alla CGUE).

Le dilazioni sono contenute nei sub-paragrafi che:

1) richiedono alla Commissione, nel caso uno Stato membro ricorresse alla Corte di giustizia per l'annullamento del regolamento in corso di adozione di attendere a sviluppare tali linee direttive (in modo da integrare in esse i principi di diritto che la CGUE dovesse indicare) e pertanto di attenderne la pronunzia

e

2) prevedono di non sanzionare gli stati membri fino a quando le linee direttive in questione non siano pronte.

Perché mai queste dilazioni? Il probabile obiettivo è quello di permettere ad Orban di affrontare senza preoccupazioni le elezioni generali magiare previste per il 2022. La evidente soddisfazione dei dirigenti politici delle due democrazie illiberali discende proprio dall'aver ottenuto, in un'ottica di breve periodo, questi provvedimenti (che erano tutto quello che chiedevano), utili alla conservazione del potere ancora per qualche anno. Il resto sono sussurri perché solo ripetizione di norme già presenti nei Trattati o nella proposta di Regolamento.

Le sanzioni sullo Stato di diritto sono state dunque riaffermate e troveranno applicazione, anche se per qualche tempo sarà in vigore uno scandaloso periodo transitorio che, per evidenti ragioni di opportunità politica, non si poteva prevedere esplicitamente.