salvini orban grande

Due significative opportunità hanno favorito i processi di allargamento dell’Unione europea a nuovi Stati nel corso degli ultimi decenni: l’accesso ai fondi strutturali di coesione interna e a un sistema di libera circolazione nel mercato più ricco del mondo.

Come è noto il percorso di adesione di nuovi Stati membri all'Unione include anche una serie di clausole legate al consolidamento dello Stato di diritto, al rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché al funzionamento democratico delle istituzioni. I processi di democratizzazione dei Paesi dell'est europeo, usciti dall’esperienza di sottoposizione al sistema sovietico, se ne sono ampiamente nutriti.

Gli accordi di preadesione, adesione e partenariato hanno così costituito negli anni uno degli strumenti più rilevanti (assieme agli accordi commerciali) di politica estera dell'Unione europea. Oggi si guarda in particolare ai Balcani (il Consiglio europeo del 25 marzo ha appena deciso di avviare i negoziati di ingresso nell’UE di Albania e Macedonia del Nord), mentre nel Mediterraneo orientale si è purtroppo interrotto - di fronte all’evoluzione politica autoritaria - il già faticoso percorso di adesione della Turchia, e più a est ancora nel continente si è solo riusciti a concludere (nel 2017) un accordo di associazione fra UE e Ucraina, associazione che ben difficilmente può indirizzarsi a un’adesione finché non sia risolta la controversia sui confini con la Russia.

Negli ultimi anni l’aspetto del consolidamento dello Stato di diritto e della democrazia liberale ha tuttavia per così dire “marcato il passo”, o addirittura ha innestato la retromarcia, in taluni degli Stati di più recente ingresso nell’UE. Si pensi a Ungheria e Polonia, che ancora in questi giorni di marzo stanno procedendo decisi in direzione della democrazia autoritaria (“democratura”), la prima con la chiusura del Parlamento e i poteri emergenziali riconosciuti a Orban, la seconda con modifiche repentine - addirittura notturne - della legge elettorale.

Quali sono i più evidenti fattori di tale sviluppo?

1) Se il processo di allargamento comporta una severa valutazione dei criteri di adesione, non sono risultati particolarmente efficaci gli strumenti di controllo e sanzione imposti alle violazioni di tali criteri una volta ottenuta l'adesione.

2) I flussi migratori hanno esercitato su alcuni Paesi una pressione sociale che ha irrigidito le politiche sui diritti dell'uomo e favorito l'emersione di organizzazioni politiche nazionaliste e xenofobe che hanno visto nel contrasto con l'Unione una occasione per ottenere maggiore consenso.

3) Le crisi dei debiti pubblici, maturate dopo la crisi finanziaria del 2008, hanno eroso il consenso dell'Unione nelle opinioni pubbliche nazionali facendo riemergere spinte nazionaliste e di chiusura che hanno ostacolato se non bloccato il processo di sviluppo politico della stessa Unione.

Oggi, con l'emergenza sanitaria in corso e la crisi economica e politica che ne seguirà, possiamo dire che la strategia di adesione e partenariato non sia più in grado di svolgere una funzione sufficientemente utile a garantire la coesione interna e la politica di vicinato. Non siamo più nelle condizioni di poter usare la leva dei fondi strutturali per garantire processi di democratizzazione nei Paesi membri, né di usare gli accordi di preadesione come strumento di politica estera verso Stati vicini.

Infatti, le notizie che giungono proprio dall'Ungheria e dalla Polonia evidenziano una preoccupante accelerazione di processi di smantellamento dello Stato di diritto e del buon funzionamento delle istituzioni democratiche.

La sospensione delle funzioni del Parlamento in Ungheria, con una delega sine die e con una espansione inedita dei poteri di governo, così come la modifica della legge elettorale per le elezioni presidenziali in Polonia, che autorizza una modalità di voto a distanza che ne mina concretamente la segretezza e la validità, dimostrano la pericolosa direzione che questi Paesi stanno seguendo.

Il deferimento della Polonia alla Corte di giustizia dell'Unione, a causa di una riforma della giustizia che mina l'autonomia dell'autorità giudiziaria nei confronti del Governo, dimostra la linea di sfida che la Polonia sta tenendo nei confronti dell'Unione. E la sfida di Orban apre scenari ancora più foschi.

Le istituzioni democratiche di molti Paesi europei sono in questi anni soggette ad un costante processo di delegittimazione da parte di movimenti populisti o dichiaratamente autoritari. Rispetto a questo fenomeno la crisi può avere effetti contrapposti. Se le istituzioni democratiche dimostreranno di poter garantire il complesso equilibrio tra libertà e sicurezza (in questo caso sanitaria) senza eccessive limitazioni ai diritti fondamentali dei cittadini, e gestire la crisi economica che ne seguirà senza un pesante aggravamento delle condizioni di vita della popolazione (missione ben difficile da realizzare), chiaramente rafforzeranno la loro legittimità e potrebbero ridimensionare le spinte autoritarie e populiste.

Se ciò non avverrà la delegittimazione non potrà che accelerare, sfruttando le crescenti difficoltà imposte dalla crisi e aprendo la strada a mutamenti del sistema politico difficili da prevedere.

Sul versante dell'Unione la dinamica che ci si può aspettare è molto simile. Le istituzioni dell'UE soffrono di un deficit democratico e federalista che le riforme degli ultimi anni non hanno risolto. La preminenza degli Stati nazionali nella direzione effettiva delle politiche dell'Unione ne ha sempre indebolito la capacità di azione. Oggi assistiamo ai tentativi che l'UE sta cercando di mettere in campo per il sostegno delle singole emergenze nazionali. Manca, purtroppo, una strategia comune di gestione per affrontare queste problematiche. La crisi economica che seguirà al termine dell'emergenza sanitaria esporrà tutti i debiti pubblici, anche quelli dei Paesi considerati virtuosi, ad un tale incremento da renderli instabili.

Qui si apre una concreta opportunità per l'Unione. Fino a che il problema del debito ha riguardato alcuni Stati, e non altri, l'idea di condivisione dei debiti pubblici nazionali è sempre stata respinta da Paesi che non avevano alcuna intenzione di accollarsi debiti di altri Stati. Nel prossimo futuro questa condizione sarà sfumata. Tutti gli Stati avranno problematiche di gestione del debito pubblico, chi più chi meno, ma il problema sarà comune. Se gli Stati decideranno di avviare politiche di condivisione dei rischi economico-finanziari e delle politiche di bilancio e fiscali, rafforzando inevitabilmente la direzione politica dell'Unione, si dimostrerà l'efficacia di risposta rispetto alle gravi problematiche che si porranno. Se invece alcuni Paesi riterranno di poter affrontare le proprie crisi economiche e di eccessivo debito da soli, il destino dell'Unione sarà segnato. L'unico modo per invertire processi di involuzione democratica e legittimare le istituzioni democratiche sia nazionali che dell'UE è l'assunzione di responsabilità e poteri dell'Unione stessa.

Gli Stati federali nascono sempre a fronte di una grave minaccia che i singoli membri sentono di non poter affrontare da soli. Se questa consapevolezza sarà realmente diffusa la possibilità di realizzare gli Stati uniti d'Europa, in un assetto federale e democratico, potrebbe essere una reale e concreta possibilità. Il mondo è nella tempesta e per molti l’Europa sembra al tramonto (una volta ancora, come spesso è accaduto in passato): ma dal male si può trarre il bene. Occorre però lungimiranza, non uno sguardo corto.

@zenogobetti