Grillo Joker grande

A Beppe Grillo, come prima di lui a Silvio Berlusconi, va riconosciuta una capacità che pochi possono vantare: quella di aver innovato radicalmente il campo politico (spaccandolo inesorabilmente in due, tra chi li ama e chi li detesta). Nemmeno Renzi e Salvini potranno mai ambire allo stesso ruolo nella storia della politica italiana: Lega e PD sono rimasti comunque partiti tradizionali, e le innovazioni apportate dai due Matteo hanno riguardato il posizionamento del partito, più che il modo di intendere la politica e di sfruttare strumenti innovativi (la televisione per Berlusconi, il web per Grillo).

Dopo aver constatato i danni causati in oltre dieci anni da chi ha seguito il comico genovese (traendone profitto personale, prestigio politico e insperata notorietà), bisogna prendere atto che da quelle parti hanno cominciato a rendersi conto che le sceneggiate nelle piazze e i milioni di voti raccolti come opposizione non servono a niente quando si arriva al governo. È da questa nuova consapevolezza che derivano i saliscendi elettorali e le giravolte continue di questi due anni e mezzo di legislatura, con gli ex “portavoce” asserragliati dentro Palazzo Chigi e sempre più lontani dai trionfi di una volta.

Purtroppo negli ultimi tempi qualcuno sembra essere tornato ad ascoltare con grande attenzione il profeta di Sant’Ilario: sono gli antigrillini in servizio permanente effettivo. Ad esempio quelli scandalizzati dall’intervento al Parlamento Europeo, in cui lui e Gunter Paoli hanno dato vita a uno spettacolo (assai misero) che ognuno in Europa ha potuto giudicare da sé: però solo i giornali italiani, commentandolo, hanno trattato l’evento con dovizia di analisi e dettagli. Tutti prodighi di spazio, più o meno, tranne uno: Il Fatto Quotidiano, che in precedenza è stato il megafono del Grillo-pensiero, ha dedicato solo un articoletto a fondo pagina, in cui la sparata sul sorteggio dei parlamentari ha occupato poche righe iniziali.

Nella mia piccola bolla social invece c’è stato un profluvio di post, tweet, meme, commenti e lamenti: tutti a cercare di evidenziare i legami tra la vittoria del Sì e l’uscita “di pancia” (a buon intenditor poche parole) di Beppe Grillo. Ma è un’uscita che non è stata ripresa dai Cinque Stelle, nemmeno dai più fedeli agli ukase pubblicati dal sacro blog: nel non-partito sono infatti troppo impegnati a sopravvivere e a trovare il modo di sganciarsi da Davide Casaleggio, che con Grillo non si fa vedere né sembra lavorare da tempo. Anche il figlio di Gianroberto è un altro babau piuttosto diffuso nei meme e nei commenti della mia piccola bolla, in cui sembra un incrocio tra Sauron e Voldemort invece che il mediocre imprenditore digitale che è sempre stato. In altre parole: l’ossessione che nutre chi li avversa garantisce al “garante del Movimento” e al suo (ex?) sodale una visibilità sui social molto maggiore di quella fornita da chi li seguiva poco tempo fa.

Beppe Grillo è stato gestito da Gianroberto Casaleggio fin dall'inizio della sua avventura nelle piazze. Il successo del comico genovese ha permesso l'ascesa di personaggi dimenticabilissimi: gente che ha scoperto la comodità di un seggio parlamentare o la vanagloria di una sedia in uno studio TV e che, per tenersi quello che ha conquistato, è ormai disposta perfino a convertirsi all'europeismo e al riformismo, rinnegando qualsiasi battaglia e sminuendo qualsiasi regola etica.

Beppe Grillo, dal punto di vista dell'esperienza politica, è stato insomma un Antonio Di Pietro che ce l'ha fatta (se così si può dire): e infatti anche l'ex magistrato era stato avvicinato da Gianroberto Casaleggio, ma al contrario di Grillo non ha creduto alle potenzialità del web. Bisogna quindi ormai separare le strade tra Grillo, che da tempo sembra avere a cuore soprattutto i propri spettacoli e i propri incassi, e i grillini, che di quegli spettacoli hanno beneficiato ma che ora sono un peso per l'affluenza a teatro dalle molte persone che non si sentono (più) rappresentate dal non-partito.

Altrimenti, quello che per il berlusconismo sono stati i girotondi e le inchieste giudiziarie, per il grillismo finiranno forse per esserlo i “liberali” (o “riformisti”, o “moderati”... credo che ci siamo intesi): un’assicurazione sulla vita politica dell’avversario, che rimanda la fine del suo ipnotico potere di egemonia culturale sulla realtà. Perché anche in quell’area, unica speranza di futuro per la politica italiana, sembra ormai indispensabile avere un "nemico pubblico”: qualcuno che incarni l'oggetto delle proprie ansie e frustrazioni, che nasconda le carenze politiche e progettuali, e l’incapacità di offrire un’alternativa e di lavorare sul serio per il cambiamento. Salvini, Grillo o Zingaretti, cambia relativamente poco: purché ci sia qualcuno da additare ai propri (scarsi) sostenitori.