Doveva essere aprile, e invece è stato maggio. Dovevano essere, per le imprese schiantate dal lockdown, prove tangibili della “solidarietà” dello Stato, mentre saranno una carità simbolica, un esercizio di buona coscienza a buon mercato, un niente strombazzato come se fosse un tutto pieno di chissà che cosa.

Eppure questo aborto di topolino è stato partorito dalla montagna di promesse e di retoriche di un governo con il cuore il mano, che chiede alle banche “un atto d’amore”, mentre esponenti di primo, secondo e terzo piano della maggioranza e dell’esecutivo fanno interviste surreali, rispolveranno i bignamini sullo stato imprenditore, sulle nazionalizzazioni e sulla neo-irizzazione dell’economia italiana, passati a essere da surrogato del “sogno” socialista, libretto rosso dell’incubo populista. Tutto pubblico, tutto dello Stato, tutto del popolo a spese di qualcun altro, che però non c’è e di cui va inventata una inesistenza sordida e segreta: quelli che hanno i soldi, ma li nascondono, hanno redditi, ma non li dichiarano, sono ricchi, ma si confondono con la povera gente. Quelli cui va espropriato il maltolto e che, soprattutto, sono sempre "gli altri".

Con un pensiero così rovinosamente antisolidaristico, con questa invidia sociale coltivata dai Pol Pol 4.0 ignoranti e incattiviti dall’ignoranza, prima che dalla marginalità, che cosa mai poteva venire fuori, se non quello che sta venendo fuori, un vuoto politico da cui percola il veleno tossico del tutti-contro-tutti?

Ricordate la retorica stucchevole e melliflua sulle piccole e medie imprese, sull’ossatura dell’economia italiana, sul Mulino Bianco delle aziende familiari? Ecco cosa prevede per loro il Decreto Rilancio, quello che - espressione di oscena volgarità -doveva “mettere i soldi nelle tasche degli italiani”. Ricordate i contributi a fondo perduto promessi dall’inizio di aprile? Eccoli.

L’articolo 28 della bozza che sta circolando – la bozza è ormai una fonte giuridica de facto, come le FAQ, un modo per buttare il sasso, ritirare la mano e vedere l’effetto che fa – prevede un contributo a fondo perduto per imprese e liberi professionisti, che hanno perso almeno un terzo del fatturato ad aprile 2020 rispetto a aprile 2019, in misura percentuale a questa differenza: per le imprese che fatturano meno di 100.000 euro l’anno, il 25%, per quelle che fatturano fino a 400.000 euro il 20% e fino a 5 milioni, il 15%.

Esempio: un bar che fatturava 10.000 euro al mese e che è rimasto chiuso due mesi durante il lockdown e che non sa quando e come riaprirà, prenderà in tutto 2500 euro (il 25% dei mancati ricavi del solo mese di aprile), cioè circa il 2% del fatturato dell’anno precedente, che scende a circa l'1% per le aziende con il fatturato più alto tra quelle ammesse a questo stratosferico beneficio. Quanti soldi, eh, nelle tasche degli italiani?

A fronte di un contributo così miserabile, che implica lavoro, costi e nella generalità dei casi il ricorso a un intermediario per la presentazione dell’istanza, che senso ha inscenare tutto questo spettacolo e non riconoscere semplicemente un corrispondente bonus fiscale e contributivo? Perché si vuole affermare la regale liberalità del sovrano straccione di mettere simbolicamente i soldi nelle tasche degli italiani, che, grazie al contributo pagato dal credito della BCE all'Italia, continueranno a pagare i loro debiti fiscali e contributivi con lo Stato italiano. 

Ovviamente a fare tutto questo è il governo che in nome della solidarietà europea avrebbe preteso i 37 miliardi del MES in regalo, e non in prestito a tasso zero e senza condizioni e che nelle stesse ore programma il faraonico intervento di ri-ri-ri-ri salvataggio di Alitalia (13 miliardi buttati in 12 anni). Giusto per dare una riverniciatura patriottarda a questa sceneggiata economica.

@carmelopalma