pensioni grande

Due notizie diffuse l’altro ieri danno la misura della crisi politica italiana in tutta la sua ampiezza e profondità e riguardano entrambi i rapporti demografici e morali tra le generazioni, cioè il punto di rottura, apparentemente irrimediabile, della coesione civile e sociale dell’Italia.

La prima notizia era quella dei dati diffusi dall’Istat sul “ricambio naturale” cioè sul rapporto tra i nati e i morti, che nell’anno 2019 sono stati i più bassi dal 1918, durante la Prima Guerra mondiale. Sulla popolazione residente per ogni 100 morti ci sono stati 67 nati. Fino a 10 anni fa la situazione era quasi in equilibrio. Il crollo di questo rapporto a fronte di un tasso di fertilità rimasto abbastanza stabile negli ultimi 30 anni (su un livello peraltro molto basso, tra l’1,2 e l’1,4 figli per donna in età fertile) si spiega con il fatto che il debito demografico, come quello finanziario si accumula e che in una struttura demografica deteriorata e per lungo tempo lontana dal tasso di sostituzione di 2,1 per cento figli per donna in età fertile, il risultato a un certo punto è il default.

La seconda notizia, perfettamente apparentata alla prima, è quella dell’esito di un sondaggio condotto da Ipsos (vedi foto) che attesta che anche nel Paese più retoricamente familista, come l’Italia, in cui i “figli”, anzi “i bambini” sono le vacche sacre del dibattito pubblico e il feticcio idolatrico dei politici col-cuore-in-mano, la maggioranza assoluta degli italiani non baratterebbe qualche anno di lavoro in più per una pensione più alta per i propri figli e nipoti. È un dato perfettamente coerente con quello di un sondaggio di qualche mese fa di EMG per Agorà, da cui risultava che solo il 12% degli italiani avrebbero cancellato “quota 100”, circa la metà l’avrebbero lasciata così com’è, e circa un terzo solo leggermente modificata.

Queste due notizie sono due conseguenze di un fenomeno culturale, prima che politico. Lo stesso che ha portato nei decenni (dalla fine degli anni ’70) a una spesa pubblica sempre più marcatamente gerontocratica, senza eguali nel panorama europeo. Il welfare è stato fatto coincidere con le pensioni. La scuola è l’unico ambito del bilancio pubblico in cui la spesa non è cresciuta, anzi è diminuita. Lo stesso racconto della povertà è stato incentrato su figure – quelle del “poveri vecchi” – che sono le meno rappresentative della dinamica dell’impoverimento, che negli ultimi anni ha risparmiato proprio solo gli ultra 65enni, facendone la classe di età meno povera in assoluto.

Non si può sostenere che, avendo gli italiani smesso di fare figli, hanno anche smesso di preoccuparsene. Anche il non far figli non è una causa, ma un effetto di scelte individuali e collettive, dall’allocazione delle risorse del bilancio pubblico, all’investimento di quelle private. E anche quanti hanno figli sono ben rappresentati in quella schiacciante maggioranza di connazionali che si riconoscono nel motto che andrebbe impresso a lettere d’oro sul blasone nazionale: “Morto io, morti tutti”.

L’Italia è insomma vittima di una pedagogia civile rovesciata, che ha autorizzato le generazioni che hanno sottratto più risorse a quelle successive di presentarsi come vittime di un processo di cui sono, nel complesso, politicamente e moralmente responsabili quanto ai danni generali e percettori quanto ai vantaggi particolari. Da questo punto di vista, il default finanziario e demografico verso cui le politiche pubbliche continuano ad accompagnare ciecamente l’Italia, è un vero e proprio default educativo. L’ideologia del ‘come se non ci fosse un domani’ è il pensiero dominante.

E l’invincibile populismo italiano, per dirla sinteticamente, ma neppure troppo impropriamente, è il frutto dell’egemonia culturale degli stronzi che noi italiani siamo diventati, con l’alibi facile di esserlo comunque meno degli “altri”. E chi ritenesse troppo sbrigativa e moralistica questa conclusione, dovrebbe comunque ammettere che il populismo è anche questo: la riabilitazione civile e lo sdoganamento etico-politico dei cattivi sentimenti e dei cattivi pensieri, la rovinosa "liberazione" del popolo da qualunque inibizione.

@carmelopalma