maschera grande

C’è un filo rosso che lega il voto in Umbria e Turingia e arriva anche in Argentina ed ha a che fare, più che con le colpe e i meriti dei governi uscenti, con la progressiva trasformazione della democrazia in un rito apotropaico e in una liturgia propiziatoria, con cui scacciare la mala sorte e ingraziarsi la buona fortuna.

Il plebiscito in favore di un nuovo bancarottiere peronista a Buenos Aires, e di due “salviniani” a Perugia e a Erfurt non dipende da un giudizio sul passato e da una speranza per il futuro, ma dalla pura angoscia del presente e delle sue coordinate politiche terremotate dalla storia e dalla geografia di un mondo fattosi insieme più piccolo e più grande, più prossimo e più remoto, più affollato e più deserto. Così tutti tornano “a casa”, alle antiche abitudini di odio e di passione, e vi si rinchiudono, come estrema difesa.

Siamo entrati, non da ieri, in una post-modernità democratica, dove sia il potere che la rappresentanza, perdute vere istanze di determinazione e controllo dei fenomeni politicamente più rilevanti (demografici, economici e tecnologici), sono diventate più forme di "espressione" che di "governo" da parte del popolo. Il nazionalismo, nelle sue diverse varianti politico-economiche, è una proclamazione di sovranità opposta a un senso tormentato di eteronomia, la reazione luttuosa all’anacronismo della nazione, prima ancora dello stato nazionale, come deposito di senso e di identità. Non sono più cosa sono e quindi voglio tornare a essere quel che non sono più. La mia identità è quella da cui sono stato dolosamente privato.

Il populismo è questo sprofondamento dal superego nel subconscio collettivo, questa etica e estetica dell’offesa e del risentimento, questa ossessione di un male senza nome patito da colpevoli senza volto. E tutto porta dove siamo arrivati, dal governo da parte del popolo, al governo del popolo da parte degli sciamani, dei guaritori e dei venditori di miracoli, alla democrazia come esorcismo e come vendetta.

C’è qualcosa di altrettanto malato e patologico nell’ostinazione a leggere il fenomeno populista, nelle sue diverse manifestazioni, come la giusta punizione all’inespiabile colpa delle élite della politica mainstream. È una sindrome auto-colpevolistica analoga a quella di chi cercava nell’ideologia imperialista occidentale e della supremazia globale Usa la “radice morale” dell’11 settembre.

Come Osama era la slatentizzazione di una malattia lungamente incubata nella frustrazione e dipendenza del mondo islamico, così il populismo non è un urlo di dolore, ma un grido di battaglia, è l’irrazionalità al potere in tutta la sua potenza, è una tempesta psico-politica autosufficiente e perfetta. Come non si può capire l'antisemitismo attraverso gli ebrei o l'11 settembre attraverso l'America, non si può capire (anzi, si può solo equivocare) il populismo attraverso il tran tran istituzionale e i pregi e i difetti della routine democratica.

@carmelopalma