bce draghi

Circola in questi giorni lo studio “20 Years of the Euro: Winners and Losers”, che stimerebbe l’impatto dell’Euro sul PIL pro-capita di diversi paesi membri dell’Eurozona. Lo studio ha attirato l’attenzione dei media per le sue conclusioni. L’euro avrebbe causato una perdita cumulata di oltre settantamila euro in media per ogni Italiano, e un guadagno complessivo di oltre 20mila euro per un Tedesco. Qui cerco di spiegare perchè queste stime siano azzardate.

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Lo studio del Center for European Policy (CEP) utilizza un metodo che fa parte dell’arsenale metodologico di un micro-economista, chiamato Synthetic Control (SC), ed è tradizionalmente usato per l’analisi comparata di eventi singoli in piccola scala su dati aggregati. SC è stato usato per, ad esempio, stimare l’impatto di un sussidio pubblico in Alaska, o l’impatto dell’immigrazione Cubana sulla forza lavoro di Miami. Questi studi hanno in comune, da un lato, la carenza di dati: si osservano soltanto delle medie aggregate, e una sola delle unità osservate riceve l’evento. Dall’altro lato, le unità sono simili e all’interno dello stesso sistema aggregato. Si tratta di città all’interno di un paese, o stati all’interno degli Stati Uniti.

Per capire perché questo metodo non sia adatto per analisi macroeconomiche tra stati è necessaria una parentesi. Quando cerchiamo di stimare l’effetto di qualcosa, ad esempio dell’immigrazione su una città, incontriamo un problema fondamentale. In un certo istante posso osservare una città se ha ricevuto immigrazione. Oppure, posso osservare un’altra città che non ha ricevuto immigrazione.

Non potrò mai osservare nello stesso identico momento la stessa identica città che ha e non ha ricevuto immigrazione, e calcolarne direttamente la differenza. Dovrò invece usare qualcosa che posso osservare per approssimare la città in questione se non avesse ricevuto lo shock dell’immigrazione Cubana. Questo problema è fondamentale, e non esiste metodo statistico che di per sé possa risolverlo.

Nel caso di Miami, prenderò delle città simili, facenti parte della stessa nazione, con cui Miami condivide demografia e shock macroeconomici, chiamate “donors”. Assumendo che ciò che è successo a Miami sia l’unica cosa successa solo a Miami e non alle altre città da una certa data in poi, posso quindi calcolare la differenza tra Miami e i donors.

SC risolve invece un secondo, diverso problema. Avendo solo dei dati aggregati, una unità trattata, e poche di controllo, paragonando una dozzina di linee tra di loro è più facile ottenere una spaghettata che un grafico informativo.

Una semplice alternativa è paragonare Miami alla media delle altre città. SC fa un passo ulteriore, e permette di creare dei pesi tali che la media ponderata dei donors prima dell’avvento dell’immigrazione Cubana ricalchi precisamente ciò che successe a Miami nello stesso periodo. La media ponderata dei donors sarà quindi la mia Miami “sintetica”. Ma ciò non vuole assolutamente dire che ho artificialmente costruito un perfetto controfattuale a Miami. Semplicemente, partendo da un gruppo di controllo grossomodo accettabile, lo ho aggiustato statisticamente per renderlo ancor più paragonabile a Miami prima dello shock.

Lo studio CEP paragona l’Italia a Australia, Bahrain, Israele, Giappone, Nuova Zelanda, Singapore, Svezia e Gran Bretagna, e calcola dei pesi per la media ponderata tali che il PIL procapita medio di questi paesi tra il 1980 e il 1995 sia simile a quello Italiano. Una volta calcolata questa media, paragona le due linee. Non stiamo quindi facendo delle complesse analisi. Stiamo paragonando una nazione a una media di altre nazioni prima e dopo l’introduzione dell’Euro, nè più né meno di quanto il Sen. Alberto Bagnai fa da anni nel suo blog.

Usando dati della stessa fonte, ho riprodotto il risultato del CEP (grafico a sinistra). In genere, se è disponibile solo una variabile per creare i pesi, si usano tutti i dati antecedenti allo shock. Il risultato relativo appare a destra.

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Nessuno dei due grafici è sorprendente. Dagli anni ’90 la produttività Italiana è stagnante, e sappiamo già che dal 2000 l’Italia cresce meno dei paesi nel gruppo di controllo.

La fallacia cruciale è attribuire tutta questa stagnazione all’euro, quando sappiamo che l’italia sconta moltissimo, ad esempio, la mancata adozione di tecnologie ad alta produttività. Questo è il principale abbaglio dello studio CEP. La realtà è più complessa, e le cause sono molteplici. Le bacchette magiche non esistono, e mente chi millanta di averne una.

Ma anche l’uso di SC in questo contesto è problematico, se non altro per la quantificazione del gap. La scelta del gruppo di controllo, che varia leggermente tra nazione e nazione nel rapporto CEP, è cruciale. Per esempio, questi sono i risultati ottenuti applicando lo stesso metodo ma modificando il gruppo di controllo per l’Italia (Svizzera, U.A.E., Brasile, Giappone, Norvegia), e rimuovendo il Bahrein dai donors della Germania.

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I grafici sono altrettanto convincenti, ma la storia é fondamentalmente diversa. L’Italia sembra ora guadagnare dall’euro in un primo periodo, e comincia a soffrirne soltanto dopo la crisi finanziaria del 2007. La Germania invece non sembra affatto essere avantaggiata dall’euro, e anzi sembra soffrirne.

Non voglio certo sostenere che questi siano i risultati corretti. Sono semplicemente diversi confronti, che possono essere più o meno informativi come statistiche descrittive, ma che non possono rispondere alla fondamentale domanda “che effetto ha avuto l’euro?”.

Sottolineo infine un punto fondamentale. Non è il metodo statistico che determina la validità di una analisi econometrica, ma il tipo di confronto che si vuol fare nei dati. SC è probabilmente il miglior modo di trattare analisi comparate di eventi singoli su dati aggregati. È usare una analisi comparata per cercare di stimare l’effetto dell’euro il problema di fondo.

I metodi statistici sono semplicemente attrezzi, utili a seconda dell’uso che se ne vuol fare. Un martello è utile per piantare un chiodo, ma probabilmente meno efficace per aggiustare un lavandino. L’abilità di chi analizza dati non è nella complessità degli attrezzi che porta in cassetta, ma nel saper riconoscere quando e come usare quelli in proprio possesso.