bossi salvini big

Matteo Salvini è riuscito a nazionalizzare la Lega: non si tratta più di un partito indipendentista ostile al Mezzogiorno, ma della vera e propria nouvelle droite italiana. Per questo sorprendersi della popolarità di cui Salvini gode presso gli ex nemici meridionali in pellegrinaggio a Pontida, ben rappresentati del Presidente della regione siciliana Nello Musumeci, è ingenuo, quando non pretestuoso: dirsi indignati per ragioni di "orgoglio meridionalista" dello sfondamento a sud della Lega tradisce un tribalismo geografico paradossalmente – e anacronisticamente – leghista.

Il primo tentativo di dare una proiezione timidamente nazionale alla Lega Nord porta la firma del fondatore, Umberto Bossi, che nel 1992 abbandonò temporaneamente la retorica etno-regionalista per offrire discontinuità, antistatalismo e anticentralismo (la polemica contro la partitocrazia romana lievitava di mese in mese). Ma già alle amministrative dell'anno successivo la strategia si arenò. I motivi furono essenzialmente due: in primo luogo il tentativo fu assai blando, perché Bossi fu e continua a essere autenticamente antimeridionalista – allora si trattò di mero e velleitario strategismo; secondariamente, il treno sovranista era di là da venire: allora, semmai, lo zeitgeist era il sovranazionalismo, tant'è che la prima lega fu un partito euroentusiasta, ci si creda o meno, e per certi versi ne aveva ben donde, stante che Milano era ed è tutt'oggi l'unica metropoli "europea" in Italia. 

Salvini, dal canto suo, è salito a bordo del treno della storia, e gli stessi meridionali gli sono venuti incontro. Il gattopardismo meridionale fagocita (e neutralizza) tutto nell'unica ideologia che da Roma in giù imperversa inestinguibile nei secoli: quella della spesa pubblica e del voto di scambio. 

Il fascismo fu un fenomeno inizialmente settentrionale adottato ben volentieri dai notabili delle due Sicilie – non prima d'aver capito, come nel caso della lega salviniana, che la storia andava proprio verso quella direzione – proprio perché tutto cambiasse ma nulla mutasse perfino sotto un pur incompiuto totalitarismo (… la piccola e breve rivoluzione legalitaria-autoritaria portata avanti dal prefetto Cesare Mori, forse l'unico per quanto irrisorio segmento di discontinuità nella storia moderna e contemporanea della regione, fu un accidente storico prontamente "normalizzato" dal regime stesso – per approfondire il tema, è utile leggere Sciascia).

Così fu anche in precedenza, come raccontato nel Gattopardo, il romanzo che per primo ha individuato e battezzato il fenomeno, in occasione dell'Unità d'Italia, un sisma socio-politico che oltrepassata la Capitale si depotenziò fino a diventare un refolo di vento una volta giunto a Palermo. Così è stato con la rivoluzione liberale di Berlusconi (il liberismo e il liberalismo vinsero 61 a 0 nell'impero dell'assistenzialismo…), così con quella moralistico-qualunquista grillina (l'onestà ha fatto cappotto in Sicilia…) e adesso che il vento soffia sulle vele del sovranismo verde, andrà bene pure quello. Dai greci a Salvini, tutti conquistano la Sicilia senza che nessuno l'abbia mai conquistata davvero. 

Potrà mai essere efficace rievocare il passato antimeridionalista della Lega per bloccarne l'irresistibile avanzata verso il Mezzogiorno? No, perché l'interesse al matrimonio, come abbiamo appena visto, adesso è bilaterale. E il "tema" principale è (pur grossolanamente) ideologico, non più territoriale.

Ieri il leader del Carroccio si è scagliato contro la Coca Cola: «meglio l'olio italiano!» ha esclamato, pur sapendo ovviamente che non si tratta di prodotti fungibili – non scegliamo di accompagnare la pizza alternativamente con l'olio o la Coca Cola –, ma altrettanto consapevole di alimentare col protezionismo l'irrazionalismo sovranista del «prima i prodotti italiani!».  Il made in Italy non sopravvivrebbe a una guerra commerciale internazionale, ed è proprio su questo, sulla lotta contro la crescita e contro i prodotti italiani mascherata da crociata a favore degli stessi (… un po' come avviene nel campo scientifico: il protezionismo sta all'economia come l'antivaccinismo alla medicina), e non banalmente e inutilmente sui suoi trascorsi indipendentisti, che va impostata la controffensiva liberale ed europeista alla nuova destra sovranista, cioè subdolamente decrescitista.