Contro l’accoglienza diffusa la Lega inventa l’abuso ‘politico’ d’ufficio
Istituzioni ed economia
Una notizia “estiva” è sfuggita ai più ed è stata confinata, sottovalutata, nelle pagine della cronaca locale lombarda. Mi riferisco alla decisione dei Sindaci della Lega Nord di boicottare il sistema approntato dal Ministro dell’Interno Marco Minniti per favorire il sistema della cosiddetta “accoglienza diffusa” attraverso l’accordo diretto tra Prefettura e proprietari di immobili che vogliano destinarli all’accoglienza dei richiedenti asilo.
L’idea del Governo è quella di superare il sistema fino ad oggi adottato che destinava ad accoglienza esclusivamente i grandi edifici di proprietà pubblica o privata (come caserme dismesse, ex edifici scolastici o alberghi), per favorire il sistema integrato che incentivi i proprietari di case a metterle a disposizione con lo scopo di diffondere anzichè concentrare la presenza sul territorio dei richiedenti asilo.
Come tutte le idee, anche quella di Minniti è opinabile. A me sembra del tutto ragionevole ma non è questo il tema dell’articolo. Il tema è, infatti, quello della forma di lotta scelta dai Sindaci lombardi della Lega che non hanno aderito al protocollo di intesa firmato il 27 maggio dal Prefetto Lamorgese e dai Sindaci dell’Area Metropolitana di Milano, alla presenza del Sindaco Sala e del Ministro Minniti con il beneplacito della Curia meneghina.
I Sindaci della Lega Nord hanno dichiarato di essere pronti, per protesta, a varare ordinanze che prevedano multe fino a cinquemila euro nei confronti dei privati proprietari di case che non comunichino al Comune la partecipazione ai bandi della Prefettura ed altrettante sanzioni per chi, gestendo l’accoglienza, non relazioni ogni quindici giorni al Comune circa numeri e nominativi dei soggetti che occupano gli alloggi oltre ad una serie di informazioni circa la loro salute.
Per il momento l’intenzione non si è ancora tradotta in atti ufficiali ma non può sfuggire il valore potenzialmente eversivo della notizia. La Lega Nord non apprezza che sia concessa facoltà ai proprietari di partecipare ai bandi delle Prefetture e non apprezza, in particolare, che non sia prevista l’interlocuzione dei Sindaci sui numeri delle richieste. Fino a qui si tratta di una opposizione legittima come legittima è la protesta.
Il passaggio successivo, vale a dire l’intenzione di imporre artificiali obblighi di comunicazione e correlative sanzioni, evidentemente esorbitanti, pone, invece, seri interrogativi di legittimità. Si tratta, infatti, di un utilizzo strumentale dell’atto amministrativo, perché l’obbligo quindicinale di comunicazione circa le condizioni di salute delle persone ospitate non è imposto in nome della tutela della collettività, ma è dichiaratamente motivato dall’esigenza, tutta politica, di azzerare, nei fatti, la facoltà dei proprietari di partecipare ai bandi predisposti dalla Prefettura. Mai prima d’ora è stato richiesto ad un proprietario di verificare - con cadenza quindicinale ed obbligo di relazione - la salute dei suoi inquilini ed è evidente che simili condizioni, tanto più se sanzionate con cinquemila euro di multa, dissuaderebbero chiunque fosse intenzionato a rendersi disponibile ad ospitare.
Il che fa sorgere il legittimo dubbio, per ora solo potenziale, che si tratti del primo caso di “abuso politico d’ufficio” della storia nazionale. Come noto l’art. 323 c.p. stabilisce che “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
Il reato di abuso di ufficio, dunque, riguarda anche il caso del pubblico ufficiale (il Sindaco lo è) che intenzionalmente procura, violando la legge o un regolamento, un danno ingiusto ad altra persona. Nessuno sino ad ora aveva mai immaginato – ecco la potenzialità eversiva della vicenda – che l’intenzione di procurare un danno potesse avvenire non già per effetto di un’iniziativa personale di un pubblico ufficiale, bensì per deliberata scelta politica collettiva di boicottare, attraverso l’esercizio del potere amministrativo, una legittima facoltà dei cittadini (in questo caso, i proprietari di alloggi), a scopo di propaganda elettorale.
Se e quando la dichiarata intenzione si tradurrà in atto (sotto forma di ordinanza comunale) occorrerà valutare il testo e verificarne la legittimità formale. Resta, tuttavia, grave che si agiti il “sovversivismo della classe dirigente locale” attraverso l’uso distorto del pubblico potere in danno dei singoli. E’ una strategia di lotta politica che non ha precedenti e che meriterebbe, prima che sia troppo tardi, una riflessione più attenta nei media nazionali.