Consulta

Il contributo al disordine politico-istituzionale offerto dalla Consulta in questa legislatura sarà magari prezioso - per gli amanti del disordine, in primo luogo - ma è decisamente impressionante sia in termini qualitativi che quantitativi. In materia elettorale e previdenziale, come sul pubblico impiego e sul "federalismo", la Corte Costituzionale si è ritagliata il ruolo di Signor No alle principali riforme approvate in questi anni o a singoli aspetti di esse, suggerendo l'idea ormai invalsa del legame inestricabile, istituito proprio dalla Carta, tra conservatorismo politico e conservatorismo costituzionale.

Questa tendenza evidenzia e aggrava il rischio di un Paese in cui una Costituzione rigida, un sistema dei partiti evanescente e un ribellismo sociale mobilitato a difesa delle rendite di posizione ("Giù le mani da questo, giù le mani da quello...") concorrono a rendere le riforme democraticamente improbe e giuridicamente precarie. È una considerazione che meriterebbe un giudizio allarmato, ma che all'indomani della sonora bocciatura di una riforma costituzionale minimalistica e pure qualificata, dai suoi avversari, come costituzionalmente "eversiva", non c'è politico che potrebbe pronunciare se non da posizioni di orgogliosa e isolata minoranza. Quindi, tutti a scappellarsi davanti ai giudizi della Corte e a rendere omaggio alla sua saggezza. E tutti a misurare leggi e riforme non sull'efficacia del loro impatto, ma sul "metro" di un'ammissibilità costituzionale ormai sempre più contestabile e incerta.

In materia elettorale abbiamo scoperto nel giro di pochi anni, ad esempio, che per la nostra Carta i sistemi maggioritari di collegio ammettono una disproporzionalizzazione del voto maggiore dei sistemi maggioritari di lista (col Mattarellum, si potevano prendere il 60% dei seggi con il 30% dei voti, col Porcellum no). Poi abbiamo scoperto che il sistema con cui da quasi un quarto di secolo gli italiani eleggono i sindaci è costituzionalmente inammissibile per il Parlamento e che le liste bloccate sono incostituzionali, mentre quelle semi-bloccate no. Il tutto sempre in nome di una ragione che non osiamo definire arbitraria ma che, a volere essere sinceri, è difficile derivare intuitivamente da qualche disposizione della Costituzione.

Il risultato è che dopo questa duplice opera di ritaglio (Consultellum 1 + Consultellum 2) l'Italia rischia di rotolare al voto con un sistema elettorale che ripristina, più o meno integralmente, il proporzionale primo-repubblicano, in un quadro in cui però non esistono più partiti in grado di interpretarlo e in cui la prospettiva è quella di una conflagrazione del sistema politico e della prevalenza delle forze anti-sistema e l'unica "salvezza" sarebbe teoricamente rappresentata da un governo PD-FI, tanto inverosimile in termini politici, quanto improbabile in termini numerici. Eppure, questo sistema che, provenendo dai supremi giudici i 5 Stelle hanno ribattezzato #Legalicum è "buono" proprio perché "legalizzato" dalla Corte. Anche se, con rispetto parlando, fa tecnicamente schifo perché, rebus sic stantibus, tradisce la sua funzione, che non è quella di "far votare il popolo", ma di garantire democraticamente il governo delle istituzioni.

D'altra parte, visto che ormai concettualmente è saltata l'idea che le elezioni siano qualcosa di diverso da un'ordalia democratica, ma un modo ordinato per dare continuità o successione al potere legittimo, si festeggia come una "liberazione" e in larga parte del mondo politico si ritiene logico utilizzare subito un sistema elettorale, che non solo il giorno dopo il voto non darebbe un responso chiaro su chi debba governare e chi fare opposizione (che è troppo pretendere), ma renderebbe assolutamente improbabile la formazione di un governo purchessia, se non con la formula della mera accozzaglia di forze parlamentari legate solo da una dichiarata ostilità.

@carmelopalma