Perché il ritorno al proporzionale porterà al referendum sull'euro
Diritto e libertà
C'è da sperare che la Consulta oggi non smonti l'Italicum e non confezioni, dopo averlo smontato, una normativa "autoapplicativa" che precipiterebbe l'Italia al voto con il sistema proporzionale. Anche perché, con l'aria che tira, vista la retorica sul Parlamento delegittimato e non autorizzato a rimettere le mani sulle decisioni della Corte, la possibilità che le camere possano legiferare secondo un altro indirizzo a quel punto si ridurrebbe pesantemente. E le conseguenze politiche, lasciando anche da parte le considerazioni di natura giuridico-costituzionale, sarebbero davvero rovinose.
L'indiscrezione pubblicata ieri da Repubblica sull'avvicinamento programmatico della Lega al M5S in vista di un possibile governo comune dopo le elezioni non risponde solo a un disegno delle forze "anti-sistema" - se un disegno di questo tipo, pur vibratamente smentito dal capo dei 5 stelle, come è possibile, esiste. Questo governo anomalo potrebbe anche essere l'esito involontario e paradossale della strategia delle forze "di sistema", a partire dal PD, che malgrado una posizione ufficialmente a favore del Mattarellum sembra rassegnato ad accettare o perfino interessato a imporre un sistema di voto proporzionale, più o meno corretto.
D'altra parte la correzione del sistema proporzionale con un piccolo, parziale e limitato premio di coalizione non avrebbe oggi in Parlamento più voti e più possibilità di successo del ripristino del Mattarellum per due ragioni evidenti. La prima è che Berlusconi non ha voglia di approvare un premio che lo costringerebbe, almeno formalmente, a coalizzarsi con Salvini. La seconda è che all'altro partner della attuale coalizione di governo, cioè Alfano, nessuno nel PD ha ancora proposto di proseguire in forma organica la collaborazione anche nella prossima legislatura, malgrado il fatto che il proporzionale puro costringerebbe il PD - se tutto andasse bene, ma proprio bene - a governare non con Alfano o per meglio dire non con il solo Alfano, ma anche e soprattutto con Berlusconi.
La correzione del proporzionale con un minimo e parziale premio di lista, presumibilmente, non troverebbe più voti in Parlamento. L'unico soggetto interessato teoricamente a questa soluzione, oltre al PD, è il Movimento 5 Stelle, che però a differenza del PD non ha bisogno del premio per fare il proprio gioco e affermare la propria supremazia politica, se uscisse dalle urne come primo partito.
Dal proporzionale puro l'unico partito che ha tutto da perdere e nulla da guadagnare è proprio quello di Renzi e l'unico leader che ne verrebbe azzoppato è proprio il segretario del PD. La prospettiva di una campagna che avrebbe come esito migliore un governo di coalizione con il Cav. incentiverebbe scissioni e comunque emorragie a sinistra, oltre a disarmare quel discorso maggioritario che è dal punto di vista soggettivo e oggettivo il marchio di fabbrica del renzismo. Un governo consociativo con il vecchio arci-nemico del PD Renzi non potrebbe né guidarlo, né interpretarlo secondo i canoni tradizionali della sua narrazione. Non andrebbe lui a Palazzo Chigi, né rimarrebbe lui al Nazareno.
Un PD indebolito e una FI minacciata da una pressione che rischia di erodere anche parte dell'elettorato residuo, di fronte alla prospettiva di un inciucio con il PD, farebbero insieme (eventualmente con Alfano e altre forze centriste) il 50% dei seggi? Possibile, ma non probabile, anzi oggi abbastanza improbabile. E Grillo, Salvini e Meloni potrebbero arrivare al 50% dei seggi? Certo che sì. E se questo accadesse, non avrebbero un terreno di accordo comune nel referendum sull'euro? Ovvio.
Se questo scenario si verificasse, più che di fronte a una paralisi istituzionale, metterebbe l'Italia di fronte a un governo - chissà come congegnato, ma possibile - legato da un patto di sangue anti-europeo. Non si sa come finirebbe il referendum, ma si sa dove finirebbe in caso di referendum il sistema politico italiano: in un tritacarne che non lascerebbe nessun partito intero e ben pochi partiti vivi.
La tenuta di un quadro elettorale maggioritario, sulla base del Mattarellum o di sistemi analoghi, è l'unica che potrebbe mantenere a distanza di sicurezza questa prospettiva. Ricompatterebbe forzosamente il centro-destra forza-leghista, darebbe al PD modo di allargare a sinistra e a destra il perimetro della sua alleanza elettorale, aprirebbe la compagine riformista ad altri possibili apporti e, per usare un lessico ancora in voga, "ulivizzerebbe" un impianto maggioritario che Renzi tende a interpretare in modo troppo personalistico e monocolore.
Ma come si fa, in questo Parlamento? In un solo modo, mettendosi d'accordo con Alfano, e dando spazio e ruolo nella compagine riformista a un contenitore catto-centrista con cui il Pd governa da quasi una legislatura e con cui non è così disdicevole e contradditorio pensare di governare in futuro. Meglio - per dirla tutta - eleggere qualche alfaniano in un collegio emiliano o toscano (e a questi si aggiungerebbero gli altri eletti con la quota proporzionale, nel caso, non impossibile, del superamento di uno sbarramento costruito "su misura"), che rischiare l'Armageddon di una legislatura nucleare per l'Italia e per l'Europa.