storia colonna infame

Il rutilante movimentismo pentastellato ha portato Grillo, nel giro di meno di una settimana, dall’accordo euroriformista fallito con l'Alde al ritorno a Canossa con l'Ukip e al rilancio del referendum anti-euro, che l’ex Presidente della Consulta e massimo custode dell’ortodossia costituzionale, Gustavo Zagrebelsky (the new Ro-do-tà), ha affettuosamente benedetto dall’alto della sua scienza, pur derubricandolo a consultazione 'informale'.

Per soprammercato – e per meglio smentire l’istituzionalizzazione mainstream del MoVimento, che l’accordo con Verhofstadt lasciava ipotizzare - il prode Manlio di Stefano sul Sacro Blog, quindi con il crisma dell'ufficialità, si affrettava subito a lanciare un ulteriore referendum per l’uscita dalla Nato. Tutto folle, in apparenza, ma in realtà tutto perfettamente coerente con l'incoerenza programmatica del M5S, cioè con la sua cifra politicamente più caratteristica e "vincente".

Infatti dopo qualche giorno un sondaggio Ipsos certificava il sorpasso del M5S sul PD. Il partito di Grillo non è solo il più competitivo in caso di un ballottaggio modello Italicum, perché capace di coalizzare elettorati non coalizzabili se non nella convergenza di un “voto contro” ideologicamente indeterminato e quindi perfettamente fungibile e adattabile a ogni rivolta, ogni idiosincrasia, ogni delusione. È – per la stessa ragione – sempre più competitivo anche in una consultazione puramente proporzionale, perché capace di attrarre anche al primo e unico turno la trasversalità del “voto contro”.

Chi si illude che le giravolte e le contraddizioni nuocciano all'immagine e alla credibilità del M5S sbaglia completamente l'analisi sulla forza (perniciosa) del suo messaggio antipolitico, che non è affatto legato a una qualche forma di purezza morale e ideologica, ma alla slatentizzazione di un subconscio popolare di cattivi sentimenti e cattivi pensieri e allo sdoganamento dell'odio, del pregiudizio e dell'invidia sociale come forme di "legittima difesa" dai mali della politica. Grillo può fare e disfare, andare e tornare, dire e contraddirsi, purché continui ad assicurare agli italiani uno spazio e uno strumento di rimozione delle compatibilità e di dissociazione dalle responsabilità di governo.

È l’intuizione di fondo di Casaleggio: la radicalizzazione e la disintermediazione del discorso pubblico nella stagione delle vacche magre non avrebbe bipolarizzato il rapporto e la concorrenza tra forze alternative, ma quello tra Popolo e Politica, cioè nella sostanza tra democrazia e istituzioni e tra sovranità e rappresentanza. E lo strumento più efficiente per interpretare questo scontro bipolare sarebbe stato quello totalitario di un “partito” che proclamasse di coincidere con il “Popolo” e di rifletterne l’interesse generale nell’alchimia della connessione digitale: tutto ciò che non è nel partito, o è contro il partito, è contro il popolo (anche se il “popolo digitale” chiamato a consacrare le scelte e le contraddizioni del M5S non è composto da 60 milioni di italiani, ma da qualche decina di migliaia di iscritti accuratamente selezionati dal sistema Rousseau come espressione della volontà generale).

Il M5S è il fuoco che deve bruciare il Palazzo, vendicando la frustrazione di un Paese che quanto più ne è rappresentato - a partire dai vizi e dai difetti - tanto più se ne sente usurpato o negletto, non l'avanguardia che deve conquistarlo e riabilitarlo al servizio del bene comune. L'assoluta irrilevanza di quel misto di impreparazione, opacità e inefficienza fornito dalla Giunta Raggi a Roma, con annesse inchieste ed arresti, non ha neppure scalfito la credibilità di un soggetto politico che rende ai propri elettori non la speranza della riforma, ma l'ebbrezza dell'ordalia, della punizione esemplare, della riparazione delle usurpazioni quotidiane lamentate da una "Politica" che ha finito i soldi per comprare consenso e quindi suscita un dissenso più incattivito che indignato.

L'aura di diversità di Grillo e della sua macchina da voti non sarà eterna, ma non basterà un inciampo, una figuraccia o uno scandalo a svegliare l'Italia dal sonno dogmatico. Come il fascismo, l'antipolitica grillina non è una parentesi nella storia dell'Italia, ma una sua autobiografia politica e morale, una sua rappresentazione autentica e profonda.

Ecco, l’errore – favorito dalla pubblicistica moralista che ha letto stupidamente l’antipolitica come una reazione alla “cattiva politica” - è stato pensare che il M5S sia un’alternativa politica democratica, non – come invece è – un’alternativa alla politica e alla democrazia, una distopia che ha successo proprio perché è distopica, un esorcismo psico-politico contro la realtà della realtà… Per capire perché il M5S sbanchi al botteghino dei sondaggi e delle urne non bisogna leggere le statistiche Istat sulla disoccupazione o il reddito pro-capite, ma la “Storia della colonna infame”.

Di fronte alla peste, il “successo” è di chi accusa gli untori e di chi rimuove la malattia, qualificandola come una macchinazione malvagia. Ma questo è anche e soprattutto il successo della peste, la rovina di una società, che si vota alla stregoneria per l’eccessiva e sospetta contiguità della “medicina” con il “potere”, e così si disarma di fronte alle sfide e alle sventure. Come la colonna infame di manzoniana memoria, anche quella grillina potrebbe tornare a vergogna dell’infamia degli accusatori e non degli accusati in tempo utile per il rammarico, ma non per il rimedio.

@carmelopalma