Mattarella agiogr grande

Si discute molto, in questi giorni, dello scontro dialettico tra chi parla di ‘quarto governo non eletto dal popolo’ e chi si rifà all’articolo 92 della Costituzione e alle prerogative del Capo dello Stato nella nomina del Presidente del Consiglio.

Come spiegato da Piercamillo Falasca, le cose sono meno nette di quanto sembri, per il fatto che l’epoca maggioritaria, la cosiddetta Seconda Repubblica, ha imposto de facto una tendenza, assecondata dai Presidenti della Repubblica fino al 2013, verso una coincidenza tra leader della coalizione vincitrice e il leader incaricato della formazione del governo. Una consuetudine, tuttavia, non sufficiente per automatizzare la procedura, essendo rimasta invariata la forma di governo.

Per quanto riguarda la situazione attuale, al di là del fatto che nemmeno la riforma Boschi avrebbe modificato la forma di governo parlamentare e che quindi le prerogative del Capo dello Stato sarebbero rimaste invariate - e probabili in una situazione tripolare paritaria - e al limite avrebbero potuto essere arginate dal combinato disposto ormai impossibile tra Costituzione e Italicum nella sua versione originaria (niente di nuovo quindi rispetto alle esperienze del Mattarellum e del Porcellum), la particolarità della situazione e delle posizioni sulla figura del Presidente sta altrove.

Quello del Presidente della Repubblica è un potere che viene definito “a fisarmonica” proprio per la possibilità di fare ricorso alle prerogative che la Costituzione gli assegna e di espandere o ridurre la propria azione in base alle esigenze e alle eventuali emergenze dello Stato. E che la decisione di non sciogliere le Camere, nel caso attuale, sia figlia della situazione venutasi a creare all’indomani del referendum è evidente.

La singolarità della scelta di fare ricorso alla prerogativa, in questo caso, è che non si tratta di una scelta, ma di una decisione obbligata, dettata non da un’emergenza contingente o congiunturale ma strutturale, istituzionale.

Da un lato infatti abbiamo una legge elettorale che sarà molto probabilmente dichiarata incostituzionale dalla Corte - nonostante sia stata scritta al fine di sostituire una legge elettorale a sua volta dichiarata incostituzionale - e che comunque difficilmente sarebbe digeribile oggi, a contesto politico mutato, da parte della stessa maggioranza che la ideò; dall’altro una legge elettorale per il Senato assente, o meglio inutilizzabile perché eterogenea rispetto alla legge elettorale vigente (il probabile avvicinamento tra Italicum post Consulta e legge attuale del Senato, scritta sempre dalla Consulta, ha la pecca che condannerebbe il Paese all’incubo del proporzionale); la delegittimazione di fatto di un Governo sconfitto al referendum e la necessità di formare un nuovo esecutivo è poi lo sfondo politico su cui le pedine di questa scacchiera incartata si devono muovere. E la mossa è una e obbligata: quella della nomina di un nuovo Capo del Governo.

Si è scelto Paolo Gentiloni per traghettare la legislatura. se non alla sua scadenza naturale, almeno alla definizione di una legge elettorale che non sia - nonostante qualche tentazione più o meno latente da parte di certe parti politiche - un ritorno al proporzionale. Ma, quale che fosse la declinazione del nuovo Governo, la scelta di non mandare al voto il Paese è stata obbligata, perché era l’unica percorribile.

Non avrebbe potuto oggi Sergio Mattarella prendere una decisione come quella che prese Scalfaro nel 1994 di sciogliere le Camere, a causa del mutato contesto politico in conseguenza sia delle elezioni del giugno e novembre 1993, sia dell’esito del referendum elettorale che segnò l’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica. Un Presidente quindi, Sergio Mattarella, che può scegliere, sì, ma può scegliere solo una cosa.