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Da molte parti si sono levate espressioni di grave allarme sociale e politico sull’esplosione dell’uso dei voucher per il lavoro accessorio e, di conseguenza, sulla crescita del precariato: è forse utile fornire qualche dato per riportare alla realtà questo fenomeno, che merita in ogni caso di essere monitorato attentamente.

Effettivamente il numero dei buoni lavoro riscossi dai lavoratori è aumentato dai 15 milioni del 2011 ai quasi 88 milioni del 2015 (nell’ultimo anno sono aumentati del 37,7%, mentre nell’anno precedente la crescita è stata maggiore, pari al 75,8%), così come il numero dei prestatori di lavoro accessorio (da 216 mila nel 2011 a 1,4 milioni del 2015), ma se si considera la media annua del numero di questi lavoratori(1), che consente un confronto con tutti gli occupati, la dimensione di questo fenomeno si riduce nettamente: da 39 mila del 2011 a 303 mila nel 2015 (figura 1 e tavola 1). La media annua del numero di lavoratori è molto più contenuta perché il numero medio di voucher che ciascun lavoratore utilizza in un anno è molto basso e pari, nel 2015, a 63,8 (68,8 nel 2011).

Solo il numero medio di lavoratori che annualmente svolge il lavoro accessorio può essere confrontato con lo stock medio complessivo di occupati nell’anno (poco più di 22 milioni), per indicarci quanto incide effettivamente questa prestazione atipica sul totale dei lavoratori italiani: dallo 0,2% del 2011 all’1,3% del 2015.
Per fare un confronto, il numero medio di lavoratori pagati con il voucher nel 2015 (303 mila) è confrontabile con quello dei collaboratori che, in seguito a norme sempre più restrittive, si sono ridotti da circa 400 mila nel 2012 a 350 mila nel 2015: è probabile che il lavoro accessorio abbia in parte sostituito questa tipologia contrattuale. È utile ricordare che in Germania i lavoratori che svolgono i “mini-job” sono oltre 7 milioni e rappresentano effettivamente un’anomalia, che tuttavia garantisce bassi tassi di disoccupazione perché attraverso questa misura è emersa una parte significativa del lavoro nero.

Figura 1 - Prestatori di lavoro accessorio (numero medio annuo – scala sinistra) e incidenza percentuale sul totale degli occupati (scala destra) - Anni 2011-2015 (valori assoluti in migliaia e percentuali)

Fig1 Cicciom 1710 611

 

Tavola 1 - Numero dei voucher riscossi, prestatori di lavoro accessorio (numero medio annuo) e incidenza percentuale sul totale degli occupati - Anni 2011-2015 (valori assoluti in migliaia e percentuali)

Tav1 Cicciom 1710 611

Ancora più importante è analizzare la condizione professionale dei lavoratori pagati con il voucher, perché consente di comprendere in quale misura il lavoro accessorio svolge una funzione utile nella gestione semplificata di rapporti occasionali e intermittenti e d’integrazione del reddito e in quale quota invece nasconde fenomeni di elusione fiscale e di lavoro nero o grigio (figura 2).

Il rapporto annuale dell’INPS del 2015(2) riporta che il 13,8% dei 1,4 milioni di lavoratori pagati nel 2015 con il voucher è costituito da persone che non sono state mai occupate, in maggioranza donne (gli uomini sono il 42,4%) e molto giovani (la mediana è 20 anni): si tratta probabilmente di studenti che integrano la “paghetta” con piccoli lavori occasionali nei giorni festivi e nelle vacanze, che rappresentavano i principali destinatari di questa forma di attività lavorativa retribuita, insieme ai pensionali, quando è stata introdotta per la prima volta nel 2003 dalla “riforma Biagi”.

I cosiddetti “silenti”, cioè ex occupati che non hanno una posizione assicurativa attiva nel 2015, sono pari al 23,1% (età media di 36,6 anni; il 42,5% è costituito da maschi): è questo il gruppo più a rischio perché, come si osservava in un altro articolo, avendo come unica fonte di reddito il voucher che non supera probabilmente il valore di poche centinaia di euro l’anno (mediamente hanno riscosso 67,3 voucher) e che non contente certamente di sopravvivere, possono essere utilizzati da datori di lavoro non specchiati per coprire il lavoro nero o grigio, come già succede con i falsi part-time (circa 500 mila).

Il terzo gruppo (8,4%) è costituito da pensionati (69% maschi), di età media ovviamente elevata (61,8 anni) che integrano l’assegno previdenziale con piccoli lavori. Il 18,3% è costituito dai beneficiari di sussidi di disoccupazione (Aspi, Mini Aspi, Naspi), in maggioranza uomini (52%), che migliorano il proprio reddito, com’è previsto dalla legge, con lavori occasionali. L’ultimo gruppo (36,4%) è composto da coloro che hanno un primo lavoro regolarmente retribuito, spesso part-time e a termine, e che integrano questa fonte di reddito primaria con piccoli lavori pagati con i voucher: il 28,7% è costituito da dipendenti privati (sono escluse le imprese agricole) e il 7,7% da lavoratori autonomi, operai agricoli, parasubordinati, lavoratori domestici, dipendenti pubblici e professionisti.

Figura 2 - Prestatori di lavoro accessorio (numero dei lavoratori) per alcune condizioni - Anno 2015 (composizione percentuale)Fig2 Cicciom 1710 611

In conclusione, per oltre tre quarti dei prestatori di lavoro accessorio (76,9%) questa attività rappresenta il secondo lavoro o la fonte integrativa del reddito (studenti, pensionati, beneficiari di ammortizzatori sociali, dipendenti e autonomi), mentre per il rimanente 23,1% è l’unica fonte di reddito regolare che, probabilmente, copre un lavoro svolto prevalentemente in nero o grigio.

Anche se l’uso truffaldino dei voucher da parte di datori di lavoro disonesti riguarda solo poco meno di un quarto dei lavoratori, a maggior ragione è necessario indagare su questo fenomeno per comprendere con maggiore esattezza i profili di questi lavoratori e delle imprese. Purtroppo questo approfondimento non può essere svolto dai ricercatori perché nel database on-line dell’INPS non è disponibile l’informazione essenziale sulla condizione lavorativa che consentirebbe d’incrociare i “silenti” con le altre numerose variabili. È una richiesta che è stata rivolta più volte al presidente dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, ma che non ha ancora trovato una sua realizzazione.

Note al testo:
(1) La somma dei mesi di attività rilevati nell’anno diviso 12.
(2) INPS, XV Rapporto annuale, luglio 2016, p. 52.