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La quasi completa liberalizzazione del lavoro accessorio (è rimasto solo il tetto massimo del compenso annuo) ha determinato una crescita rapidissima dei lavoratori pagati con i buoni lavoro: hanno raggiunto nel 2014 la quota di un milione, che sarà ampiamente superata nei prossimi anni. Non si è verificata la paventata sostituzione di lavoratori dipendenti con quelli pagati con il voucher.

Si può stimare che per i tre quarti dei casi i buoni lavoro siano serviti per integrare la fonte primaria di reddito di lavoratori dipendenti e parasubordinati, studenti, pensionati e percettori di sussidi di disoccupazione e per un quarto abbiano coperto il lavoro nero o grigio. È molto probabile che gran parte dei lavori accessori sarebbero stati svolti, in assenza del voucher, in modo non regolare.

In Germania, in seguito alla riforma Hartz IV del 2005, sono oltre 7 milioni i lavoratori con un contratto a tempo parziale, o“mini-job”, che prevede una remunerazione massima di 450 euro al mese, esente da tasse e contributi. Il dibattito sull’efficacia e sui rischi di precarizzazione di questo contratto è acceso, ma è indiscutibile che i mini-job abbiano contribuito non poco a far emergere il lavoro nero e rappresentino una forma di reddito aggiuntivo per chi vive con i contributi sociali, oppure ha un contratto part-time involontario, e un’ottima soluzione che consente agli studenti universitari, anche stranieri, di pagare i propri studi fuori sede.

I corrispondenti italiani dei mini-job sono, seppure con alcune differenze, le prestazioni di tipo accessorio, non regolate da un contratto, introdotte dalla riforma Biagi, che consentono di pagare le prestazioni occasionali del lavoratore con buoni lavori esenti da qualsiasi imposizione fiscale: il valore nominale del voucher orario è fissato in 10 euro, mentre il corrispettivo netto a favore del prestatore è di 7,5 euro (2,5 euro sono trattenuti per la contribuzione alla gestione separata dell’INPS, per quella all’INAIL e per il compenso al concessionario per la gestione del servizio).

I lavori accessori, che inizialmente erano svolti da poche migliaia di lavoratori in occasione delle vendemmie, si sono trasformati, in seguito ai successivi interventi legislativi che hanno ampliato gli ambiti di utilizzo dei buoni lavoro, in un’attività lavorativa che ha coinvolto nel 2014 oltre un milione di persone, destinate ad aumentare anche negli anni successivi, grazie alla presenza sempre elevata di “nuovi” lavoratori (65,6% nel 2014) che hanno consentito quasi di raddoppiare di anno in anno la platea complessiva (figura 1).

Figura 1 – Lavoratori che svolgono lavoro accessorio (scala sinistra) e quota di “nuovi” lavoratori (scala destra) – Anni 2008-2014 (valori assoluti e percentuali)

Grafico1 Cicciom

Infatti, il lavoro accessorio può essere svolto da qualsiasi persona (disoccupato, inoccupato, lavoratore autonomo o subordinato, full-time o part-time, pensionato, studente, percettore di ammortizzatori sociali) e in qualsiasi settore economico, anche presso un committente pubblico, con alcuni vincoli in agricoltura(1), con il solo limite del compenso economico, che non può superare 7 mila euro(2) nel corso di un anno per il singolo prestatore e di 2 mila euro per ciascun committente se imprenditore o professionista (questo limite non si applica ai cittadini come datori di lavoro, perlopiù di badanti, colf e giardinieri).

Oltre due terzi dei 63 milioni di buoni lavoro del 2014 sono stati riscossi nel Nord (66%), il 17% nel Centro e il 16% nel Mezzogiorno. Inoltre, la componente femminile dei prestatori di lavori accessori è maggioritaria (51,3%), l’età media è di 36 anni, oltre la metà è costituita da giovani adulti di età fino a 34 anni (54,1%) e il 5% è composto da extracomunitari. Il commercio è la tipologia di attività per la quale è stato acquistato nel 2014 il maggior numero di buoni lavoro (20,9%), seguito dal turismo (16,2%) e dai servizi (15,1%). Il 30,4% dei voucher è stato acquistato per “altre attività”, che comprendono la consegna porta a porta, i maneggi e altri piccoli ma numerosi mestieri.

Se nei primi anni il canale prevalente di distribuzione dei voucher è stato l’INPS, successivamente la quota maggiore di acquisti è stata effettuata attraverso i tabaccai (53,9% nel 2014), soprattutto nel Sud (70,2%).

I buoni lavoro sono utilizzati per pagare prestazioni di breve durata (il numero medio di voucher riscossi da ogni lavoratore nel 2014 è pari a 62) e lo “stock” medio annuo nel 2014 è pari a solo 217 mila unità, che rappresenta solo l’1% del totale dei lavoratori occupati. Di conseguenza anche il compenso netto medio annuo è molto contenuto e si attesta nel 2014 a circa 470 euro.

Le preoccupazioni dei sindacati circa l’utilizzo improprio del lavoro accessorio da parte delle imprese per sostituire un singolo dipendente con più persone pagate con il voucher nel limite di 2 mila euro l’anno, oppure da parte delle famiglie per pagare una collaboratrice domestica solo con i buoni lavoro, non è confermata dai dati, dal momento che anche nel settore dei lavori domestici il compenso netto medio annuo non supera i 600 euro e in quello del commercio supera di poco i 400 euro (figura 2).

Figura 2 – Compenso netto medio annuo dei lavoratori che svolgono lavoro accessorio per attività d’impiego dei lavoratori – Anno 2014 (valori in euro)

Grafico2 Cicciom

La principale e reale criticità del lavoro accessorio in Italia è connessa alla bassissima remunerazione media annua: se questa fosse la principale fonte di reddito, è difficile immaginare come questi lavoratori riescano a sopravvivere con meno di 500 euro l’anno.

Per fortuna, una ricerca effettuata recentemente in Veneto, in collaborazione con l’INPS(3) , su un campione molto ampio di lavoratori che svolgono il lavoro accessorio consente di quantificare in maniera più precisa e dettagliata la condizione lavorativa di queste persone e di scomporre l’intera popolazione in tre grandi gruppi omogenei (figura 3).

Il primo e più grande (57%) è costituito da coloro che hanno un primo lavoro regolarmente retribuito, spesso a tempo indeterminato, e che integrano questa fonte di reddito primaria con piccoli lavori pagati con i voucher. Anche in Germania i mini-job rappresentano, per oltre 3 milioni di persone, il secondo lavoro di un’occupazione principale, spesso a tempo indeterminato.
Il secondo cluster, che rappresenta l’11% della popolazione di riferimento, è costituito da giovanissimi fino a 24 anni di età, probabilmente studenti e che abitano in maggioranza presso i genitori, che affiancano lo studio con piccoli lavori o utilizzano il voucher per le prime esperienze nel mondo del lavoro.
Il terzo gruppo, che rappresenta quasi un terzo della popolazione di riferimento (32%), è quello che presenta le maggiori criticità perché ha come unica fonte di reddito il voucher, che si suppone non superi di molto la media di 500 euro l’anno. Su questo cluster si dovrebbe concentrare l’attenzione e l’analisi statistica, con ulteriori indagini, perché è probabile che le ore lavorate siano superiori a quelle pagate con il voucher, come accade con i falsi part-time, e che i buoni lavoro servano a coprire il lavoro nero o grigio.

Figura 3 – Lavoratori che svolgono lavoro accessorio in Veneto per alcune condizioni e caratteristiche – Anno 2014 (composizione percentuale)

Grafico3 Cicciom

Tuttavia, è molto probabile che anche in questo terzo gruppo siano presenti persone che hanno come prima fonte di reddito il lavoro autonomo (rappresenta il 25% degli occupati), che non è stato preso in considerazione nella ricerca effettuata in Veneto. Inoltre, sono sottostimati i pensionati (9% è la quota di over 50, probabilmente in gran parte ritirati dal lavoro) e i percettori di prestazioni integrative del salario e del reddito: è possibile di conseguenza stimare che la reale dimensione del terzo cluster costituito da lavoratori che hanno come unica fonte di reddito (regolare) il lavoro accessorio non superi il 25%.

Ovviamente, sarà necessario verificare, nel momento in cui l’INPS metterà a disposizioni i dati sull’attività lavorativa dei percettori di voucher di tutte le regioni italiane, quale sia la reale consistenza dei tre gruppi nelle diverse aree del territorio. In ogni caso, pur tenendo conto del fatto che non è possibile estendere i dati del Veneto a tutto il territorio nazionale (probabilmente i dati delle regioni del Nord, dove si concentrano due terzi dei prestatori, non si discosteranno di molto da quelli del Veneto), si può affermare con una buona approssimazione che il lavoro accessorio svolge, per circa tre quarti dei lavoratori (e dei committenti), una funzione utile nella gestione semplificata di rapporti occasionali e intermittenti e per circa un quarto nasconde probabilmente fenomeni di elusione fiscale e di lavoro nero o grigio.

Infine, è molto probabile che gran parte dei lavori accessori sarebbero stati svolti, in assenza del voucher, in modo non regolare, soprattutto quando rappresentano il secondo lavoro.

I dati riportati in questo articolo sono stati ripresi da: Roberto Cicciomessere, Il lavoro occasionale di tipo accessorio, Italia Lavoro, luglio 2015.

 

Note al testo:
(1)  È possibile ricorrere al lavoro accessorio sino a 7.000 euro in agricoltura solo se l'attività è svolta da pensionati o giovani studenti ovvero esclusivamente in favore dei piccoli imprenditori agricoli, a prescindere dallo status del lavoratore.

(2)  La soglia scende a 3 mila euro l’anno se il lavoro accessorio è svolto da percettori di prestazioni integrative del salario e del reddito.

(3)  Bruno Anastasia, Note sull’integrazione dei dati sui voucher con i dati sui rapporti di lavoro (comunicazioni obbligatorie), VISIT-INPS: la ricerca per il welfare aziendale, diapositive, 25 maggio 2015.