L’Europa o è federale o non è. Questa è la lezione che andrebbe tratta dalle ripetute crisi degli ultimi anni, questo è il richiamo che 28 (o 27?) Stati nazionali, ancorati a logiche diplomatiche ormai superate dai tempi, sembrano decisi a ignorare. Ma realizzare l’utopia è l’unico modo di evitare il fallimento.

Bonfante UE

Una multinazionale, di cui non diciamo il nome, è composta da 28 filiali, ciascuna col suo brand, il suo prodotto di punta, il suo consiglio di amministrazione e il suo presidente. Il gruppo ha un proprio marchio, una sede, un cda, ma il cda può decidere solo all’unanimità e nominare un presidente a turno, il cui parere oltretutto si può anche ignorare. Il core business della multinazionale è la costruzione di libertà.

Il gruppo non è quotato, lo sono però le filiali. Il consiglio di amministrazione risponde ad una assemblea di investitori istituzionali, eletti dagli azionisti delle filiali nazionali, ma non direttamente ad azionisti suoi. Quindi chi sia responsabile di cosa, verso chi e con quale obiettivo, nel groviglio della - chiamiamola così - Europa Associati, è impossibile capirlo.

Il meccanismo decisionale prevede che ciascuna branch esponga le proprie esigenze, le negozi, alla fine dia l’ok alla decisione comune, o non dia l’ok e impedisca “la” decisione comune. Anche quelli che non hanno interesse diretto a una data questione entrano nel gioco negoziale per opzionare una richiesta al cda successivo. Così vengono decise le quote latte e le quote rifugiati, l’infrastruttura elettorale e il dazio all’importazione straniera. Ciascuno ha garantita una ricompensa in cambio dell’unanimità, basta rispettare il turno.

Il metodo dell’accordo unanime a vantaggio di uno e a spese di tutti, però, sulla lunga distanza cede. Il gruppo perde mercati, fatturato e soprattutto reputazione. Tra i membri si affronta la questione, ma in privato - incontri a due, a tre, per fare “cartello”. Il cda si riunisce per occuparsi praticamente solo di questioni straordinarie - cioè problemi che, considerati individuali pur non essendolo e quindi rinviati, ignorati, elusi, diventano loro malgrado emergenze collettive.

Non tutte le branch ma quasi sono in sofferenza. Per alcune il problema è anche politico, per altre è solo economico. Qualunque sia la soluzione di ciascuno, la soluzione di nessuno è fare da soli. E nonostante questo è impossibile fare insieme. Perché?

Se il bene dell’Europa (un vantaggio assoluto per tutti gli europei) equivale al male di uno stato membro dell’Europa (ad esempio colpire un settore economico poco produttivo ma che rappresenta un campione nazionale, almeno in termini di voti), allora quello stato membro compie una scelta razionale nell’impedire che il bene europeo si compia.

L’Europa non è uno spazio geo-economicamente omogeneo. Come l’Italia, che è istituzionalmente una ma socio-economicamente trina, di Europa ce ne sono almeno due e forse son poche, perché lingue, culture, tradizioni istituzionali sono molte di più, e anche quelle contano, nella - diciamo così - economia di una branch.

Che 28 eserciti diversi, 28 burocrazie, sanità, welfare, diritti civili, ordini professionali, intelligence, ricerche, ambienti, mercati - e relativi apparati di regole - siano un’assurdità, e non solo per i costi, è superfluo persino dirlo. Che non si possa fare in qualunque punto d’Europa quello che si fa in qualunque altro punto d’Europa - tal quale - è un’assurdità gigantesca se tarata sugli individui, un buco nero della ragione se rapportato alle aziende. Il punto sta nell’accettare che la ragione di tale assurdità sia proprio la supremazia plurinazionale, cioè che per fare l’Europa si debbano disfare gli stati.

Fuor di metafora, la crisi dell’Europa è una crisi di ragione più che di sogno. Il problema greco non è diventato la catastrofe greca per un deficit di utopia, ma per l’assenza di razionalità. La ragione gridava “intervenite subito prima che la pallina divenga valanga”, l’emozione diceva “ma no, aspetta, troviamo prima le parole”. Si provi anche solo a evocare gli Stati Uniti d’Europa, sarà un coro di e mo’ basta con ‘sto Spinelli. Ma infatti zitti, fuori Ventotene da questo articolo.

Resta che Spinelli aveva ragione. E che un’idea migliore, per la prospettiva dei popoli europei, della - appunto - versione europea degli Stati Uniti d’America non è ancora stata trovata. E alla prova dei fatti - non dell’utopia - il metodo dell’accordo unanime tra governi beneficia i governi, non gli europei, e gli interessi degli uni non coincidono mai con gli interessi degli altri - sia detto in senso lato.

Il paradosso è che oggi gli Stati Uniti d’Europa - cioè la via più razionale per il bene degli europei - siano diventati nei fatti gli Stati Uniti dell’Utopia, un obiettivo senza speranza.

I trattati hanno istituito un’Europa che non fa politica europea ma politica estera degli stati europei in Europa - la Germania fa la Germania, l’Italia fa l’Italia. C’è una letteratura lunga così di ragioni storiche, politiche, economiche per cui gli stati non hanno voluto fare l’Europa federale.

Ma sono rimasti in pochi, fuor di retorica celebrativa, a tenere invece la barra sempre lì. Talmente pochi che li citiamo senza temere di fare torto alla verità: il leader dell’Alde Guy Verhofstadt, i Radicali, i movimenti federalisti, alcuni studiosi della materia.

Rifare i trattati è una necessità, ma per i decisori europei non è una priorità. Anzi, è una corsa a rubarsi la scena nel beauty contest delle leadership nazionali.

Il prof Sergio Fabbrini, per uscire dall'impasse delle contrapposte impraticabilità della via federale e di quella condominiale, propone una specie di terza via: due Europe invece di una. E queste due Europe non sono l’Europa ricca e l’Europa povera, ma un’Europa politica e un’Europa economica. Due unioni distinte per obiettivi, strumenti, governance - soprattutto governance. L’Europa economica si organizzerà come meglio crede per raggiungere gli obiettivi comuni; quella politica si darà la forma istituzionale e gli strumenti normativi per agire politicamente come un solista e non un coro.

In questa ipotesi, l’Unione europea che non riesce ad essere economica E politica diventerebbe economica O politica. Due Europe, ciascuna coerente nelle finalità e autonoma nelle decisioni. Ma con una delle due, l’Europa politica, più potente della “cugina” economica. È un’Europa meno intuitiva degli Stati Uniti, ma può esserne un’amputazione necessaria.

Chiudiamola così: “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo.”

Risulta superfluo riportare la fonte.

@kuliscioff