marijuana foglia

In generale, sui cosiddetti temi civili, i fenomenali ritardi che il nostro Paese ha accumulato (dal divorzio alle unioni civili, tutto in Italia è arrivato fuori tempo massimo, come a sanare un'inadempienza) e i passi indietro mostruosi che ha compiuto (pensiamo al bando pressoché totale della fecondazione assistita deliberato all'inizio del nuovo millennio) non sono mai dipesi dalle resistenze e dai riflussi di una società strenuamente conservatrice, ma dalla sostanziale incompatibilità tra le riforme necessarie e le maggioranze possibili.

Il favore che le battaglie civili riscuotevano nel Paese e nelle stesse istituzioni parlamentari è sempre stato subordinato alla tenuta di equilibri di governo condizionati dal peso determinante, anche se non sempre maggioritario, di forze politiche ideologicamente ostili alle derive "relativistiche" e dal concorso esterno (esterno per modo di dire) di gerarchie ecclesiastiche apertamente schierate in una duplice battaglia, di consenso e di potere, sia all'interno che all'esterno del mondo cattolico.

Questo scenario si ripropone oggi dopo l'avvio della discussione in Parlamento della proposta di legge per la legalizzazione della cannabis, sottoscritta da 221 deputati di quasi tutti i gruppi politici. Non è uno scenario identico - l'Italia sarebbe il primo Paese europeo a votare su questo tema, non l'ultimo come è accaduto sulle unioni civili - ma è decisamente simile il contesto in cui il dibattito è finito intrappolato.

Appena la discussione è arrivata in aula, una componente della maggioranza, quella di Alfano, ha chiesto di silenziarla per non turbare gli equilibri dell'esecutivo. Anche in questo caso la politicizzazione dello scontro interno alla maggioranza potrebbe preludere alla spoliticizzazione della discussione di merito della proposta all'ordine del giorno delle camere.

Proprio il precedente del ddl sulle unioni civili, che Alfano ottenne diventasse tema di maggioranza e consentì di licenziare - dopo averlo sfregiato, ma non svuotato - a colpi di fiducia e senza alcuna discussione parlamentare, non gioca evidentemente a favore dell'iniziativa di un intergruppo trasversale che ha dalla sua numeri imponenti, ma non il sostegno di alcun partito di maggioranza. D'altra parte, se il PD in questo caso decidesse di accettare un accordo al ribasso, senza un risultato politicamente rivendicabile, risolverebbe sì un problema esterno, ma solo per aprirne uno interno altrettanto spinoso.

Per tante ragioni il PD, vista la sua vocazione programmaticamente maggioritaria, non può diventare un partito ufficialmente antiproibizionista, ma non può neppure schierarsi disciplinatamente sul fronte opposto, per ordine del partito di Giovanardi. A costo di sembrare un partito diviso, deve comunque rimanere un partito plurale. Di qui a settembre, dunque, al Nazareno serve uno sforzo di fantasia, che però stavolta non può passare da un compromesso con Alfano.

@carmelopalma