cocorico

Non sapremmo dire quanto sia fondato il provvedimento con cui si è chiuso il Cocoricò per quattro mesi in base all'articolo 100 del TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che consente al Questore di "sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica ed il buon costume o per la sicurezza dei cittadini".

Si tratta, come è evidente, di una norma che non sanziona le responsabilità del gestore dell'esercizio, né la sua complicità con le attività pericolose, ma autorizza il Questore ad interrompere, con un provvedimento di natura amministrativa, il protrarsi di una condizione di pericolo oggettivo e verificato dalle autorità di pubblica sicurezza. Questa è la norma che consente, di solito, la chiusura di locali malfamati, ricettacolo e base di attività illegali, interni alla "logistica" delle reti criminali e da esse di fatto controllati.

Se questo sia in tutto o in parte vero per la famosa discoteca di Riccione non siamo in grado di dirlo, ma riteniamo pericoloso presumerlo, come sembra invece scontato, a prescindere da ogni altra considerazione di merito, per il solo fatto che all'interno del Cococricò, come in ogni altro locale dell'industria delle vacanze e del divertimento (alberghi, campeggi, bed and breakfast, ostelli laici e religiosi, discoteche, bar, ristoranti, stabilimenti balneari...) vi sia ampio smercio e consumo di droghe illegali, in proporzione ai numeri e all'età della rispettiva utenza. Su questa base, non andrebbero chiusi tutti i Cocoricò, ma tutte le Riccione d'Italia e tutte affidate al governo di un commissariato di pubblica sicurezza.

Da un punto di vista politico-mediatico, il provvedimento del Questore di Rimini, adottato a furor di popolo, deve invece considerarsi tanto inevitabile, quanto inutile. Un segnale obbligato, ma vano di intervento da parte delle istituzioni, a cui, come ci informano i giornali di oggi, seguiranno direttive più stringenti e severe da parte del Viminale. Il fatto è che non c'è - e non ci può essere - alcuna relazione tra l'intensificazione delle attività di contrasto e la riduzione della diffusione delle sostanze illegali.

Questa evidenza vale per tutte le droghe proibite, ma in modo quasi paradigmatico per le droghe sintetiche, le cui modalità di produzione e commercializzazione, estremamente parcellizzate e di fatto ininfiltrabili, sono ancora più difficili da aggredire con strategie di contrasto tradizionali. A dimostralo sono i numeri impietosi dell'Osservatorio europeo delle droghe e di tossicodipendenze di Lisbona, che nell'ultimo rapporto (pag. 32 e 33 dell'edizione in italiano) segnala come solo nel 2014 siano state censite 101 nuove molecole, con un trend di crescita che ha portato, in cinque anni, più che a raddoppiare il numero delle nuove droghe proibite.

Il casi di cronaca di giovani e giovanissimi che muoiono intossicati da sostanze prodotte dall'inarrestabile industria fai-da-te delle "cale" spingono alla mobilitazione e alla richiesta di intervento. Ma non dovrebbero spingere fuori dalla riflessione razionale. Anche nell'industria del divertimento, la droga che continua ad ammazzare di più, dentro e fuori dai locali, è l'alcol, combinato o meno con altre droghe proibite. La possibilità, per l'alcol come per le altre sostanze, di limitare i danni dell'abuso agendo solo dal lato dell'offerta è del tutto irrealistica. D'altra parte, la penalizzazione dell'uso personale di droghe proibite, che ogni tanto ritorna nel dibattito pubblico, avrebbe il solo esito di rafforzare i legami di solidarietà criminale tra consumatori e spacciatori.

Occorre anche onestamente ammettere che nel caso delle droghe sintetiche, se ha senso prevedere strategie di riduzione del danno, non è possibile immaginare oggi strategie di controllo e regolamentazione legale concretamente applicabili ed efficienti, in grado di riassorbire l'offerta del mercato illegale e di sostituirsi ad essa con sostanze più sicure. La strategia più ragionevole per prevenire il peggio - che, nel caso di tutte le droghe, proibite e no, significa dismettere l'illusione di "cancellare il male" - è quella di spostare la domanda di droga dalle sostanze più nocive a quelle più controllabili e da comportamenti di abuso nichilistici a stili di consumo consapevoli. In questa strategia, la legalizzazione di hashish e marijuana avrebbe un'importanza pratica e anche pedagogica evidente. L'alternativa proibizionista è invece quella di lasciare che, in nome della "guerra alla droga", all'hashish e alla marijuana il mercato illegale sovrapponga decine di nuovi cannabinoidi sintetici (trenta censiti nel solo 2014), con i risultati che tutti vediamo.

@carmelopalma