Brexit, il Regno Unito ora è di nuovo diviso
Istituzioni ed economia
In un referendum che è stato una doccia ghiacciata per l’Unione Europea, il Regno Unito ha votato (51.9%) per la Brexit. David Cameron ha annunciato le sue dimissioni, la sterlina è crollata e i mercati sono in subbuglio. Ma il ritratto di giornata, oltre a quello di un’Europa che annaspa, è quello di un paese spaccato. Il referendum è stato profondamente divisivo fin dalla campagna elettorale ed il risultato l’ha dimostrato.
Il partito Conservatore si è scisso sul tema in due blocchi contrapposti, che si contenderanno la leadership. Decisivo il voto in zone tradizionalmente laburiste e date come teoricamente pro-Remain: il Galles, il Nord Est, Sheffield, la Doncaster di Ed Miliband e la Durham di Tony Blair. Più scontata la tendenza verso l’euroscetticismo nelle aree rurali e il sud benestante.
Ma la spaccatura, oltre che partitica, è geografica e torna ad infiammare indipendentismi finora messi sotto il tappeto. Ogni singolo collegio della Scozia ha votato a favore del “Remain”, con il 62%. Se la leader di opposizione, la Conservatrice Ruth Davidson, dice che “ci vuole stabilità”, il Primo Ministro indipendentista Nicola Sturgeon rilancia la separazione da Londra. Sturgeon ha specificato che “la Scozia vede il suo futuro nell’Unione Europea” ed è probabile che, come annunciato, richiederà un nuovo referendum dopo quello perso per un pelo nel Settembre 2014. Nella sua conferenza stampa mattutina ha dichiarato che farà “tutto il possibile” perché la partecipazione della Scozia al progetto europeo continui.
Le consultazioni che hanno visto i separatisti sconfitti non hanno sopito lo spirito indipendentista sopra il Vallo di Adriano. Lo SNP ha ottenuto un risultato storico alle elezioni generali a Maggio 2015 e, un anno dopo, ha confermato il primato nel parlamento nazionale di Holyrood. Negli ultimi sondaggi conoscitivi indipendenza ed unionismo sono ancora testa a testa, ed è probabile che la Brexit cambi tutto, specialmente per gli elettori laburisti e liberaldemocratici, in gran parte favorevoli all’unione con Londra nell’ultima consultazione.
Un altro fronte, più sopito e quindi più problematico, è quello che si apre in Irlanda del Nord. La regione ha votato in gran parte a favore della permanenza nell’Unione Europea, con il 55% dei voti, portando alla vittoria degli europeisti in 11 sezioni su 18. Il risultato più schiacciante, con quasi il 75% dei voti, è stato registrato nel seggio di Belfast Ovest, roccaforte dei repubblicani dello Sinn Fein e luogo di elezione del leader del partito, Gerry Adams. Declan Kearney, portavoce dei feniani, ha dichiarato che il referendum avrà “ramificazioni importanti sulla struttura dello Stato Britannico”, chiedendo un referendum per l’unione con la Repubblica d’Irlanda. Una nuova consultazione, dopo quella del 1973 che vide la vittoria degli unionisti (il voto fu boicottato dai repubblicani), potrebbe, anche qui, avere un esito differente.
Due pesi sulla bilancia: da un lato il bisogno di mantenere aperti gli unici confini di terra con il sud; dall’altro la stabilità economica e politica della Repubblica, non certo ottimale. Il risultato del voto di ieri sera potrebbe avere strascichi anche sulla sicurezza nella regione. Gli anni dei Troubles sono stati archiviati in fretta e furia con gli accordi del Venerdì Santo del 1998, tuttavia la tensione settaria potrebbe riemergere in tempi rapidi, vanificando i grandi passi avanti del processo di pace.
Non ci dovrebbero essere, invece, pulsioni separatiste in Galles, dove il voto è stato nettamente a favore degli euroscettici con il 52.5%. Potrebbero arrivare invece sorprese dalla piccola Gibilterra, dove c’è stato il risultato più favorevole al Remain, vincitore con il 96%. Si tratta di pochi voti, dato lo scarso numero di abitanti dell’enclave, ma potrebbero spingere la rocca a chiedere a Londra ulteriori garanzie.
La vicinanza alla Spagna e le tensioni sul confine, con accuse reciproche e lunghe code “pilotate” da un lato e dall’altro della dogana, sono state decisive nel referendum. Il Governo di Madrid ha già richiesto un’amministrazione condivisa della penisola, dopo anni passati a reclamarne la sovranità.
Gibilterra si troverebbe più isolata e tagliata fuori da un continente cui è geograficamente ed economicamente connessa. Potrebbe inoltre vedere la sua unicità di centro finanziario, libero dall’IVA e paradiso delle compagnie di scommesse, intaccata da un Regno Unito che vorrebbe assomigliare sempre di più ad una grande Singapore.
È ancora presto per valutare gli effetti di lunga portata del voto, tuttavia si sente forte e chiaro il grido di dissenso delle periferie verso la scelta netta di Albione.