Poletti

Ha creato grande scalpore questa settimana l'errore macroscopico nei dati contrattuali comunicati dal Ministero del Lavoro, poi prontamente rettificato. Chi è uso all'oscuro lavoro alla base della produzione e della disseminazione di statistiche economiche sa che un semplice errore materiale è sempre possibile, ed è quindi cosciente che ogni accusa sbrigativa di “manipolazione” volontaria non tiene conto - banalmente - della possibile spiegazione alternativa di una “tecnologia di trattamento del dato” inadeguata, cosa che casomai tirerebbe in ballo l'inefficienza delle pubbliche amministrazioni.

Pubblicare un corrigendum a un comunicato stampa, o a una pubblicazione, ha un costo elevato in termini di reputazione che ogni buon ricercatore, o agenzia statistica nazionale, vorrebbe evitare, poiché la precisione è uno degli aspetti cruciali per la definizione della qualità dei dati. Un dato preciso è, per la statistica economica, ciò che un controllo elettronico della trazione è per una macchina moderna: se non funzionasse a dovere, il guidatore avrebbe la sensazione di essere alla guida di una carretta, non di un'Audi. Qualsiasi errore nella produzione del dato, che necessiti poi di una correzione pubblica, è lo spauracchio di ogni istituzione che produca statistiche, così come il richiamo di un'automobile difettosa per una casa automobilistica. Il rischio è che i dati errati, percepiti come tali, perdano qualsiasi valore informativo. Chi ha seguito le polemiche sul famoso foglio Excel con formule errate di Reinhart e Rogoff, sa bene quanto un semplice errore possa mettere a repentaglio la validità delle tesi anche di studiosi affermati e di primissimo ordine.

Nel caso di un'istituzione politica che produce dati pubblici, questo rischio è naturalmente più alto, poiché la relazione fra produttore e consumatore dei dati è sostanzialmente differente. Laddove nel contesto scientifico le competenze dei “peers” pongono un freno all'incentivo alla manipolazione strategica, nel caso di un ente governativo la relazione è asimmetrica, e vede il consumatore in una netta posizione di svantaggio. Le statistiche prodotte dalle agenzie governative sono infatti rivolte non solo rivolte a operatori specialistici, che hanno certamente mezzi statistici non noti al grande pubblico per individuare frodi sistematiche, ma anche ai cittadini elettori, i quali usano le informazioni pubbliche per controllare le performance dei governanti da loro eletti.

È chiaro che l'incentivo a rivelare dati parziali, o non precisi, è più forte laddove l'assenza di competenze rende il controllo ex-ante molto costoso. In un paese in cui solo una persona su quattro è laureata, in cui la quota di lauree scientifiche è bassissima, in cui le competenze della stampa nel presentare e spiegare le statistiche non vanno al di là di un pedissequo copia-incolla del comunicato originale, è chiaro che la tentazione di abbellire il dato economico per tornaconto politico sia più alta.

Esempi recenti non mancano di certo. La Grecia ha nascosto per lungo tempo la vera entità del proprio debito pubblico, e recentemente anche i dati su fabbisogni di cassa e PIL sono di nuovo sotto i riflettori per possibili incongruenze. L'Argentina dei Kirchner si è addirittura distinta su un gradino ancor più basso nella scala della manipolazione. Guillermo Moreno, ex ministro del Commercio Interno, si rese protagonista di un gravissimo tentativo di manipolazione dei dati sull'inflazione. La capo economista responsabile dell'indice dei prezzi fu licenziata dopo aver negato al ministro la lista delle imprese che rispondevano al questionario dell'INDEC, l'Istat Argentino. Fu accusata di usare una metodologia non patriottica, e al suo diniego di manipolare i dati, le venne risposto da Moreno che in epoca Peronista semplicemente era normale evitare la pubblicazione di dati non graditi. Un bell'esempio di populismo che si riproduce uguale a se stesso, a scapito del povero elettore, trattato come un insipiente ignorante, nel tentativo maldestro di ingannare i mercati sugli interessi nominali da pagare sul debito. Maldestro perché poi i conti salati si pagano sempre e prima degli altri, come mostra la recente impennata nei rendimenti che ha colpito di nuovo il debito pubblico argentino, quando la credibilità sui mercati ha un costo di rischio percepito difficile a rimarginarsi, se la storia è coerentemente quella del manipolare le informazioni nella speranza di lucrare un vantaggio immediato. Moreno, ironia della sorte, costretto alle dimissioni nel mezzo dello scandalo, fu “punito” con un posto di consigliere economico all'Ambasciata Argentina a Roma, dove forse continua nella sua meritoria missione di trasformare dati falsi in dati patriottici.

Nel caso italiano, ovviamente, la situazione non è assimilabile ai gravi casi presentati, ma esiste comunque da tempi non sospetti la tentazione dell'abbellimento di facciata, del dare grandissima risonanza solo ai dati più favorevoli. Come abbiamo scritto altrove, il pasticcio delle comunicazioni obbligatorie mensili era facilmente prevedibile. È grave che nella legittima foga di mostrare “milioni di contratti creati” - che rappresenterebbero la normalità anche durante recessioni gravi come l'ultima - il sistema di produzione delle statistiche amministrative del Ministero del Lavoro non sia stato strutturato con tutti i controlli necessari. Se si fossero seguite le linee guida precedenti, con comunicazioni trimestrali, più che sufficienti per calcolare indicatori di flusso e di transizione, scopo principale delle Comunicazioni Obbligatorie, tutto questo non sarebbe successo.

Se invece si preferisce la via del comunicato mensile, la strada maestra sarebbe quella di integrare i comunicati stampa, coordinando il lavoro di Istat, Ministero e Inps: si sarebbe risparmiata la figuraccia e il discredito indirettamente gettato sulle statistiche del mercato del lavoro. Vogliamo davvero credere che da oggi nessuno leggerà i dati come se fossero un mero pavoneggiarsi? Il danno più grave non è l'aver commesso un pacchiano errore, ma aver inferto un duro colpo alla credibilità delle statistiche economiche.

@ThManfredi