A Putin non sarà sembrato vero di riscuotere tanto successo nella visita italiana del 10 giugno, prima all'Expo di Milano con Renzi e poi a Roma con il Papa e Mattarella, infine con l'amico di sempre Berlusconi.

Putin Renzi

La sola cortesia istituzionale di "protocollo" non è sufficiente a spiegare le dichiarazioni pubbliche di Matteo Renzi, che si è distinto solo sulla questione dell'Ucraina ma senza sottolinearla con forza, affrettandosi però ad affermare "i tanti link culturali" che uniscono Italia e Russia e l'impegno comune sulla maggior parte dei temi, primo tra tutti il terrorismo internazionale.

Putin, in cuor suo, deve aver pensato d'avere mosso un altro pezzo nella direzione a lui più conveniente: quella di spezzare l'asse europeo a favore della linea dura contro la sua politica aggressiva. L'impressione è che la sola Grecia non gli basti: ha bisogno di un appoggio più forte nel cuore di Bruxelles.

D'altra parte Putin è consapevole che molte e trasversali sono, nel nostro paese, le forze antagoniste alla "guerra di sanzioni" conseguente alla crisi in Ucraina. Ad esempio la quasi totalità del mondo imprenditoriale: il 10 giugno non pochi hanno voluto farsi sentire, dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi (che ha chiesto di alleggerire le sanzioni) al presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia, che non ha avuto mezzi termini: "Le sanzioni – ha affermato davanti a Renzi – devono essere tolte a qualsiasi costo".

In gioco, secondo i numeri di Scordamaglia, 165 milioni di euro in meno di export alimentare in Russia, nonché il quasi azzeramento di export di latte e latticini (-97%). Con l'effetto collaterale che i russi si affiderebbero ora alle imitazioni, come il "Parmesan": il giorno in cui le sanzioni fossero cancellate, si riabitueranno al made in Italy?

Questioni interessanti; poiché, tuttavia, le sanzioni sull'agroalimentare sono state imposte dalla Russia all'Europa, e non viceversa, sarebbe stato probabilmente più utile chiedere di eliminarle allo stesso Putin, ma pare che nessuno ci abbia pensato. Peccato.

Anche il quadro politico è sempre più favorevole alla fine della guerra di sanzioni. Non più solo l'estrema sinistra (che vede in Putin l'avversario ideale dell'imperialismo della Nato) e l'estrema destra (che vede in Putin il baluardo di supposti valori tradizionali), ma anche un partito in netta ascesa come la Lega Nord si è da subito schierato a favore di Mosca, all'inizio più per simpatie autonomistiche ("Stiamo con la Crimea", dissero i leghisti, ignorando o fingendo d'ignorare che la Crimea era già sotto controllo militare dei russi), poi in modo sempre più istituzionale: diversi i viaggi a Mosca di Salvini, che il 10 ha preferito rimanere a Bruxelles ("Difendo meglio gli interessi nostri e loro qua", ha dichiarato).

Per non dire di Forza Italia: dopo il fugace incontro con Putin in aeroporto a Roma,  Berlusconi ha annunciato una mozione parlamentare per lo stop alle sanzioni, così chiudendo per sempre, probabilmente, la possibilità che nel centrodestra abbiano voce coloro che ritengono la libertà degli ucraini di guardare all'Europa piuttosto che alla Russia un valore non negoziabile.

D'altra parte, se dagli imprenditori ci si può aspettare una visione tesa a difendere esclusivamente i propri interessi, ai leader politici si dovrebbe quantomeno chiedere che suggeriscano una politica alternativa a quella in atto, che finora ha unito Ue, Usa e Canada in un'ottica di pressione non militare sulla Russia al fine di farla desistere dal piano di polarizzazione e di contrapposizione, spinto al punto da programmare l'annessione della Crimea – e ammetterlo con un anno di ritardo – pur di destabilizzare un Paese, l'Ucraina, che, in maggioranza, non intende più avere come stella polare Mosca. Il solo "no" alle sanzioni – oltre a rappresentare un pericoloso precedente nell'ambito dei moderati in Europa – non può essere politicamente sufficiente.

Dopo l'incontro con Renzi ad Expo, Putin ha parlato a sua volta delle sanzioni. Le sue parole possono essere lette come ammissione di debolezza. Il presidente russo ha chiesto che vengano modificate o eliminate per sostenere le aziende "che vogliono collaborare con noi. Questo vale anche per i contratti in campo militare e tecnologico". Secondo i suoi calcoli, c'è un miliardo di euro in gioco. Contratti già firmati che allo stato attuale non possono essere condotti a compimento.

Putin era consapevole di blandire, in questo modo, il punto di vista degli imprenditori, cui s'è accennato prima; ma l'impressione è che, dell'eliminazione delle sanzioni, abbia bisogno soprattutto lui.

La risposta di Renzi, da questo punto di vista, non deve averlo fatto sorridere. Il premier italiano ha replicato che si potrà discutere di sanzioni successivamente all'applicazione degli accordi di Minsk 2, siglati a febbraio, per superare la crisi in Ucraina. Accordi molto complessi, che prevedono sia la cessazione completa delle ostilità militari sia una maggiore autonomia istituzionale delle regioni di Donetsk e Luhansk.

Putin si è affrettato a precisare che "qualcuno applica gli accordi in modo selettivo", riferendosi al governo ucraino che non ha ancora concesso l'autonomia regionale prevista dal terzo punto del protocollo, dimenticando però che finora non è stato possibile concretizzare il nono punto, ovvero nuove elezioni locali sulla base della legge elettorale ucraina, e prima delle nuove elezioni è impossibile concedere autonomia regionale.

L'8 giugno il G7 in Baviera è terminato con la convinzione che le sanzioni resteranno finché la Russia continuerà a violare gli stessi accordi di Minsk. Ovvero finché non smetterà di violare l'autonomia ucraina fornendo armi, supporto e soldati ai separatisti (anche se il Cremlino, com'è ovvio che sia, ha sempre smentito il proprio coinvolgimento) e finché non inizierà una seria "moral suasion" su di loro per cessare il conflitto.

Nei prossimi mesi si potrà capire se la strategia di Putin di "usare" l'Italia per rompere l'asse occidentale avrà avuto successo o se invece il governo di Roma avrà abbastanza forza per resistere alla tentazione economicistica e far valere, più importante di tutti, il valore della libertà e della democrazia.

Per il momento, l'accoglienza renziana allo zar è stata giudicata troppo "calda" dalla Casa Bianca, che ha puntualizzato che "i leader del G7 si sono impegnati a mantenere le sanzioni contro la Russia. Compreso il premier italiano Matteo Renzi. E si sono inoltre impegnati ad imporre altre restrizioni se necessario". Una reazione ferma, che paventa il timore che l'Italia si sfili presto.