Ascesa e caduta di Mario Mauro, ex ministro e neo-Turigliatto
Istituzioni ed economia
Vi ricordate Franco Turigliatto? Fu un senatore di Rifondazione Comunista che, pur facendo parte della maggioranza, rappresentò una vera e propria spina nel fianco dell'ultimo Governo Prodi. Fino all'harakiri finale: insieme ad altri non votò la fiducia, decretando così la fine dell'esecutivo ulivista e, contemporaneamente, della sua storia politica.
Oggi lo spettro di Turigliatto si aggira ancora per i corridoi damascati del Senato della Repubblica. E ha le fattezze di Mario Mauro, fino al gennaio 2013 capogruppo del Pdl all'Europarlamento, poi candidato capolista al Senato in Lombardia nella lista Con Monti per l'Italia, in seguito nominato "saggio" da Napolitano nella task force per le riforme costituzionali, eletto capogruppo di Scelta Civica a Palazzo Madama e diventato ministro della Difesa del Governo Letta.
Ed è proprio in quest'ultima veste che Mario Mauro si rivela uno dei più accesi sostenitori della stabilità di governo. Secondo Mauro, infatti, se fosse caduto l'esecutivo Letta, si sarebbe trasmesso "un senso di sfiducia ai cittadini", "un segnale di sconforto" che avrebbe aperto la strada "ai populisti, a chi dice che tutto fa schifo". Ed è anche per questo, che alla fine di ottobre 2013 Mario Mauro, davanti alle critiche di Monti e di Scelta Civica alla manovra del governo, decide di lasciare il partito, accusando l'ex premier di essere un "destabilizzatore".
Pochi giorni dopo, insieme al leader dell'Udc Pierferdinando Casini, Mario Mauro vara la "grande nave popolare" dei Popolari per l'Italia. Tra i punti fondativi, spicca "appoggio pieno e leale al governo".
Nel frattempo, al di fuori del microcosmo centrista-popolare, succede che Letta cade, arriva Renzi, e Mauro resta fuori dal governo.
Da questo momento in poi Mario Mauro si toglie la veste di "saggio" e comincia ad attaccare Renzi a palle incatenate. Un'opposizione crescente verso le riforme del governo. A partire dalla revisione del bicameralismo.
Finchè a Mauro non capita di essere sostituito in Commissione Affari Costituzionali del senato, dove i numeri sono in bilico a causa dell'opposizione della minoranza dem. A decidere che Mauro deve lasciare il posto in Commissione, perché la sua posizione non rispecchia quella della maggioranza del gruppo, è il presidente dei senatori Popolari, Lucio Romano, anch'egli ex montiano. Per Mario Mauro, dietro la sua rimozione ci sarebbe la regia di Pierferdinando Casini.
È sostanzialmente la fine del progetto della "grande nave popolare" sognata da Mauro: i gruppi di Senato e Camera si sfaldano in breve tempo, con Casini e l'Udc che se ne vanno con l'Ncd di Angelino Alfano; a Palazzo Madama il gruppo scompare e alcuni si iscrivono a quello delle Autonomie, mentre a Montecitorio prevale la componente che fa capo a Lorenzo Dellai, orientata al centro-sinistra, che prende il nome Democrazia Solidale e che a sua volta si unisce al Centro Democratico di Bruno Tabacci.
Mario Mauro, a questo punto, va nel gruppo di Gal, creato da Berlusconi all'alba di questa legislatura per dare un sostegno a Letta. Una sorta di gruppo misto, dove oggi ognuno vota quel che vuole. L'ex ministro della Difesa porta con sé al gruppo di Gal due senatori, Tito Di Maggio e Angela D'Onghia, che è anche Sottosegretario all'Istruzione.
Anche questi ultimi due lo abbandonano quando Mauro decide definitivamente di passare all'opposizione: Di Maggio va con Fitto (comunque all'opposizione) mentre il sottosegretario D'Onghia conferma l'appoggio a Renzi.
Nonostante l'isolamento - e grazie al fatto che i numeri di Palazzo Madama sono risicati (basta un'influenza per mettere in difficoltà il governo) - Mauro, con il suo voto determinante in commissione Affari Costituzionali, riesce a far andare sotto la maggioranza sul ddl Buona Scuola .
Ma perchè Mauro ha deciso di non appoggiare più il governo Renzi?
Lo spiega lui stesso: "Riforme non condivise, condotte in modo improvvisato ed approssimativo, con una improvvida esaltazione del carattere monocolore dell'Esecutivo sono alla base di una decisione che è innanzitutto un giudizio definitivo su una gestione politica che sta tenendo in stallo l'Italia, la sua economia e il suo bisogno di crescita".
Riforme "non condivise", dunque. Così come non era condivisa dal partito con cui era stato eletto (Scelta Civica) l'abolizione dell'Imu prima casa 2013 fatta dal governo Letta sotto schiaffo del Pdl di Berlusconi. Di qui le critiche di Mario Monti, allora leader del suo partito, alla legge di stabilità.
Ma per il Mario-Mauro-ministro-della-Difesa, a quel tempo, non c'era spazio per la concertazione e la mediazione. Si doveva andare avanti, sostenere a tutti i costi il governo, altrimenti sarebbero arrivati i "populisti". A prescindere dall'efficacia e dalla bontà o meno dei provvedimenti.
Lo scenario di oggi non è molto diverso da quello di allora. È opinione diffusa - di fronte all'assenza un centrodestra moderato, a una crescita esponenziale della Lega no euro e razzista, a un Movimento 5 Stelle che se pur in calo continua a essere una tra le prime forze del Paese - che, se cade Renzi, l'esito delle prossime elezioni porterà il PD a un ballottaggio dagli esiti non scontati con il Movimento 5 Stelle o con una destra a trazione salviniana.
Tuttavia, la stabilità di governo, per Mario-Mauro-non-più-ministro, non rappresenta più un valore assoluto. Renzi deve cadere, e non importa se le elezioni anticipate porterebbero nuovamente il Paese sull'orlo del baratro. E non importa se questo risulterebbe irrazionale agli occhi degli investitori internazionali, che guardano con favore le riforme renziane e i primi timidissimi segnali di ripresa, dovuti anche a una situazione economica internazionale favorevole.
E proprio come il Turigliatto del 2008 consegnò il Paese a Silvio Berlusconi, il Mario Mauro del 2015 è pronto a fare il kamikaze. Nonostante il rischio di vedere Grillo o Salvini a Palazzo Chigi. A differenza di Turigliatto, però, a guidare Mauro nelle sue ambizioni nichiliste non sono un’intransigenza e un radicalismo ideologici d’antan, ma un trasformismo poliedrico e mutante, per cui un giorno il valore assoluto è la stabilità, e il giorno dopo la destabilizzazione, a seconda della convenienza.