L’apertura del ministro Federica Guidi all’esplorazione e alla futura estrazione di petrolio e gas nel mare Adriatico, obiettivo che vede la Croazia nostra dirimpettaia già incamminata verso un concreto piano di sfruttamento, è una notizia rilevante: per la prima volta, un membro di peso del governo italiano afferma in materia energetica una visione pragmatica e “sviluppista”.

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E’ evidente che la posizione della Guidi si scontrerà con l’opposizione di molti esponenti della maggioranza parlamentare (in primis della sinistra del PD), delle amministrazioni regionali e locali, delle associazioni ambientaliste e del nutrito fronte del No-tutto. Ma è altrettanto probabile che la Guidi, persona molto accorta,  si sia esposta su un tema tanto delicato solo dopo aver ricevuto l’avallo o il nullaosta del presidente del Consiglio.

Quello dello sfruttamento delle risorse energetiche nelle nostre acque territoriali dovrebbe essere il tema dei temi, in questa fase storica. Non andrebbe sprecata l’opportunità di aprire per l’Italia una nuova stagione di investimenti, lavoro e ricchezza in un settore – quello degli idrocarburi – in cui il Paese ha tecnologia, aziende di valore globale e competenze giuste. Proprio il principio di precauzione e la tutela dell’ambiente dovrebbe suggerire all’Italia la necessità di un maggior attivismo: se lasciassimo alla sola Croazia l’estrazione di petrolio e gas nell’Adriatico finiremmo per esporci a tutti i rischi possibili, senza possibilità di gestirli né di godere dei possibili benefici produttivi, occupazionali, economici e fiscali.

“La risposta ai rischi industriali non è (…) l’impedimento a fare, ma la capacità di governarli”, ha scritto efficacemente Romano Prodi nell’editoriale sul Messaggero del 18 maggio che ha aperto la discussione sull’argomento. L’impianto regolatorio italiano in materia ambientale è già molto rigoroso e a questo va accompagnato – lo ha sottolineato la Guidi - un rapido recepimento della direttiva europea del 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi.

Con la Croazia bisogna certamente infittire il dialogo, chiedendo le massime garanzie possibili e la più ampia collaborazione. Da qualche anno i due Paesi gestiscono in comune il giacimento di gas offshore “ANNAMARIA”, sulla base di accordi bilaterali (c.d. AIDOA) sulle quote di produzione di competenza, le compensazioni e le royalties. Proprio sulla falsariga di quanto avviene per la gestione di ANNAMARIA, sarebbe auspicabile l’istituzione di un processo di consultazione e condivisione di esperienze tra i due paesi, per coordinare le iniziative regolatorie e industriali in materia di idrocarburi ed evitare l’insorgere di problemi le cui conseguenze non si fermerebbero certo al confine delle acque territoriali croate. Ma la base di partenza è che l’Italia voglia essere protagonista e non spettatore.

Non siamo gli unici a dover contemperare le esigenze industriali con quelle turistiche: la Croazia realizza con il turismo il 18% circa del suo Pil e non intende certo frantumare una posizione di prestigio faticosamente conquistata nell’ultimo decennio. Ma dietro il sogno del governo di Zagabria di fare dell’ex repubblica yugoslava un gigante energetico tascabile, c’è una consapevolezza che dovrebbe ispirare anche il governo italiano: gli scenari geopolitici internazionali sono instabili e in via di peggioramento, è necessario aumentare il grado di sicurezza energetica, la diversificazione delle fonti (vedi gasdotti, oleodotti e rigassificatori) e la capacità di produzione interna.

Sfruttando i giacimenti di petrolio sotto i nostri mari potremmo portare la quota di produzione nazionale dall’11,7% del consumo totale (dati 2012, International Energy Agency) fino ad un 20% circa. In più, ça va sans dire, una gestione attenta e intelligente dei giacimenti offshore di idrocarburi avrebbe effetti benefici per l’economia nazionale: si stimolerebbero gli investimenti privati nazionali e stranieri, migliorerebbe la bilancia dei pagamenti e aumenterebbe il gettito fiscale, consentendo così una non banale riduzione della tassazione. Sempre Prodi riporta la stima di 2,5 miliardi di euro, come maggiore gettito fiscale provenienti dall’eventuale estrazione dai progetti già autorizzati: è un decimo dell’Irap sostenuta dalle imprese private.

Non sprechiamo tutto questo “ben di Dio” e soprattutto non lasciamo che a goderne siano solo altri Paesi: tra qualche anno, la Croazia inizierà a succhiare con la cannuccia da un bicchiere che condividiamo, se non ci attiviamo a noi non resterà nulla.