ex caserma guido reni big

Il tema della dismissione e valorizzazione dei patrimoni pubblici fa ormai parte del dibattito politico italiano da alcuni anni ed è legato alle esigenze finanziarie dello stato nazionale e degli enti pubblici locali (regioni, comuni, aziende sanitarie). Nel dibattito politico-amministrativo il problema è prevalentemente tematizzato secondo questioni di natura contabile e attinenti politiche di riduzione del debito pubblico, spostando in secondo piano altri aspetti legati alla pianificazione, alla gestione urbana, ai processi di valorizzazione culturale e alla promozione del territorio.

Solo recentemente nel nostro Paese va maturando una maggiore sensibilità verso i manufatti architettonici prodotti a cavallo tra Ottocento e Novecento. A questo periodo appartengono molti edifici militari e pubblici di notevole valore architettonico, paesistico, simbolico e identitario, testimonianza di memorie collettive e individuali. Si tratta di un patrimonio assai rilevante che si è formato a partire dall’Unità d’Italia inglobando immobili religiosi e conventuali, a cui ha fatto seguito la realizzazione di manufatti finalizzati all’organizzazione del nuovo assetto dello Stato. Le azioni dovrebbero combinare insieme redditività economica, recupero e reinterpretazione virtuosa di tali patrimoni al fine di ridefinire la struttura e l'organizzazione di parti di sistemi urbani o territoriali. Non esiste a tutt’oggi una seria e compiuta riflessione sul ruolo che potrebbe giocare il riutilizzo dei patrimoni pubblici, spesso edifici molto grandi, situati in aree già dotate di infrastrutture e dotati di ampie superfici di spazio aperto come opportunità per innescare o accompagnare processi di rigenerazione urbana e riorganizzazione territoriale, come occasioni di riconfigurazione di aree centrali ad alta valenza simbolica o come opportunità per contrastare ulteriori processi di consumo di suolo. Non esiste inoltre una riflessione sulle difficoltà che si sono trovate ad affrontare le amministrazioni locali nella costruzione di processi virtuosi di recupero dei patrimoni pubblici.

Le caserme in genere erano sedi di attività che generavano un indotto sull’economia locale, ma la loro chiusura o ricollocazione ha prodotto effetti negativi anche sul piano occupazionale, perché spesso non sono state sostituite da altre destinazioni in grado di fornire redditi e processi di sviluppo. La reinterpretazione degli spazi militari interdetti dovrebbe focalizzare l’attenzione sia sul concetto di spazio-identità, inteso come patrimonio della memoria collettiva e senso di appartenenza alla comunità, sia sulla definizione di nuove funzioni e destinazioni d’uso in cui spazi pubblici e investimenti privati trovino un momento di sintesi e di reciproca convenienza e coesistenza.

Spesso i Comuni, oltre a non avere risorse economiche, non hanno risorse umane e competenze necessarie a seguire iter così complessi. L’assenza di chiare strategie di sviluppo territoriale chiare e fissate in documenti programmatici contribuisce ad ostacolare l’iniziativa imprenditoriale e l’interazione fra le diverse parti in causa. Le vicende della dismissione e della valorizzazione degli immobili pubblici nel corso degli ultimi anni si sono rivelate una “spia” delle difficoltà del quadro normativo italiano a conciliare obiettivi statali e potenzialità locali. Un’occasione persa, almeno per ora. La crisi economica ha accentuato tendenze già in atto evidenziando ancora maggiormente l’inefficacia dell’azione istituzionale in questo campo.

Abbiamo parlato del tema nel volume:
Francesco Gastaldi, Federico Camerin, Aree Militari e Rigenerazione Urbana, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, 2019, 224 pp,

https://www.letteraventidue.com/it/prodotto/367/aree-militari-dismesse-e-rigenerazione-urbana