La concorrenza crea valore e redistribuisce ricchezza, anche grazie a Flixbus
Innovazione e mercato
Anni fa, quando Ryanair e le altre compagnie aeree low cost spiazzarono i vettori tradizionali, la politica più aperta salutò la cosa come una innovazione "social", che consentiva a milioni di cittadini di usare finalmente l'aereo e di muoversi più liberamente in giro per l'Europa. Le compagnie di bandiera non si sono davvero mai riprese dallo scossone (in Italia più che altrove...), ma la concorrenza ha imposto loro la trasformazione del proprio modello di business, riduzioni di costi, efficienza, alleanze e politiche di concentrazione.
L'aereo è diventato concorrenziale con il treno, ma quest'ultimo ha recuperato terreno: grazie a investimenti, certo, ma soprattutto grazie alla apertura del mercato ed alla concorrenza nell'alta velocità dove l'Italia è pioniera, offrendo la scelta tra Frecciarossa e Italo. Per uno come me che criticava le lenzuolate di Bersani per troppa timidezza, le liberalizzazioni sono sempre state anzitutto un fattore di "democratizzazione" del mercato e di recupero di efficienza.
Abbattere rendite indebite e monopoli legali significa aprire spazi di opportunità a chi vuol creare lavoro e impresa e soprattutto significa abbattere i prezzi al consumo, a vantaggio di quelli che un tempo si usava definire i "salariati". Oggi abbiamo inventato anche altre categorie sociologiche - i free-lance, i fuorisede, i precari - ma la sostanza non cambia: le liberalizzazioni rappresentano una potente arma di distribuzione del reddito e della ricchezza, oltre che di creazione di valore.
In un caso come quello di Flixbus, si ritrovano molte delle ragioni usate per i voli low cost: innovare sul piano organizzativo per dare a tutti l'opportunità di viaggiare a un prezzo più basso ma con attenzione alla sicurezza, addirittura rivitalizzando un settore come il trasporto passeggeri su gomma che pensavamo residuale e condannato al sussidio pubblico. Grazie alla piattaforma offerta da Flixbus, molte piccole aziende italiane di trasporto hanno la possibilità di accedere a un'utenza che da sole non avrebbero saputo e potuto raggiungere.
Chi subisce la concorrenza? I vettori tradizionali, le società che da decenni servono in regime di quasi-monopolio le tratte che dalle grandi città vanno verso il resto d'Italia (emblematiche le linee da Roma e Milano verso la Puglia e la Calabria). Anziché rilanciare accettando la competizione di questo nuovo player capace di sfruttare una piattaforma online europea e insieme una rete di piccole società proprietarie di autobus, si è scelta la via politica della difesa della rendita.
L'alleanza tra vettori tradizionali e un pezzo della politica, di maggioranza e di opposizione, ha dato vita a una vicenda a dir poco paradossale. In ben due diversi decreti-legge, il fronte "anti-Flixbus" ha forzato la mano e votato una misura esplicitamente invisa al governo. "Decisamente non è un buon periodo per la concorrenza in Italia", ha twittato a proposito il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, evidentemente pensando sia a Flixbus che alle secche in cui è arenato il DDL Concorrenza. Nato come "legge annuale sulla concorrenza" (un obbligo di manutenzione periodica della regolazione previsto da una legge del 2009, di cui fui primo promotore), il provvedimento aspetta da oltre due anni la sua approvazione definitiva. Ha già perso molti pezzi pregiati per strada, per opposizione di questo o quel gruppo politico, ma quel che resta continue comunque ottime misure di efficienza e innovazione, di cui il Paese beneficerebbe in termini di maggior crescita nel medio-lungo periodo.
Se venisse definitivamente approvata, la norma anti-Flixbus sarebbe un segnale decisamente negativo: racconterebbe l'inaffidabilità regolatoria e un certo velato protezionismo, a danno dell'attrattività dell'Italia per gli investitori del mondo. Se siamo ancora in tempo, fermiamo quella norma.