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Dopo l’acquisizione di Syngenta da parte della cinese ChemChina, giunge quella di Bayer che assorbe Monsanto. Dow e Dupont, fuse nel frattempo, saranno il terzo polo, tutto a stelle e strisce.

Il Governo cinese lo aveva annunciato in modo chiaro: gli Ogm sono la nuova frontiera di sviluppo dell’agricoltura cinese e su di essi avrebbe investito. E molto. Poche settimane dopo, l’azienda statale ChemChina lanciava la sua prima offerta a Syngenta, di poco inferiore a quella di Monsanto. Già, perché solo un anno prima era stata lei a provare a prendersi un colosso, e questo colosso era proprio Syngenta. Dove non è riuscita Monsanto, però, è riuscita Pechino. Soldi, più o meno gli stessi degli Americani, ma praticamente in una valigia, in contanti. Un po’ come fanno certi Cinesi quando rilevano i bar dei paesini e delle periferie delle città. Soldi in bocca, prendere o lasciare. Una bocca bella grande, in effetti, perché i miliardi di dollari offerti furono 43. E Syngenta ha preso. Nel frattempo, la difesa a oltranza da Monsanto della Casa di Basilea era costata la poltrona a Mike Mack, Ceo dal gennaio 2008. Ritenta Mike, sarai più fortunato.

ChemChina, per chi non lo sapesse, è la medesima che ha rilevato pure l’israeliana Adama, ex-Mackteshim Agan, prima società nel ranking globale degli agrofarmaci off-patent, cioè quelli scaduti di brevetto ma ancora con qualche freccia in più all’arco rispetto ai banali generici. E di Adama i Cinesi si son presi il 60%, divenendo con l’aggiunta di Syngenta una realtà di rilevanza globale nel mondo dei prodotti per la difesa delle piante. Del resto, si era anche presa da poco il marchio Pirelli, entrando a gamba tesa pure nel settore degli pneumatici. E ora la neo-rinata Pirelli annuncia il ritorno in grande stile nel mercato agricolo dopo averlo dismesso cedendolo alla svedese Trelleborg, la quale come reazione ha pensato bene di acquisire Mitas per avere una gamma più aggressiva sul fronte dei prezzi. Stanchi? Spero di no, perché la storia del tourbillon di fusioni e acquisizioni è appena iniziato.

All’offensiva in grande stile che la Cina ha sferrato sul fronte dell’agricoltura risponde ora Bayer. La Casa di Leverkusen ha fatto fare a Monsanto la fine che lei voleva far fare a Syngenta: se l’è comprata. Una cifra superiore, ovviamente, pari a 66 miliardi di dollari. In tal modo si crea un asse tedesco-americano di proporzioni superiori a quelle di ChemChina, sia sul fronte della chimica agraria, sia su quello delle biotecnologie. Non che sia la prima di fusione intercontinentale. L’altro colosso tedesco della chimica, Basf, aveva inglobato a fine Anni 90 American Cyanamid. Una bazzecola al confronto dell’attuale business Bayer-Monsanto.

Se sul fronte degli agrofarmaci non dovrebbero esserci particolari problemi di antitrust, dato che Monsanto ha solo glifosate mentre Bayer ha un catalogo pesante come un elenco telefonico, sarà forse sul fronte delle sementi biotech che si giocherà la partita di selezione. Basti pensare che alle gamme Roudup Ready di Monsanto, resistenti a glifosate, Bayer contrappone da anni quelle Liberty Link, resistenti a glufosinate ammonio. Qui sì che l’atmosfera si scalderà molto, ma al momento non è dato sapere cosa verrà sacrificato sull’altare della libera concorrenza.

Una sorte che pende anche sul terzo polo mondiale, ovvero quello recentemente formatosi dopo la fusione di Dow con DuPont. Le due società americane, casualmente dotate entrambe di logo bianco-rosso, hanno anch’esse diversi problemi di doppioni, sia per le sementi, sia per gli agrofarmaci. Solo fra diversi mesi sapremo cosa è sopravvissuto nel catalogo unificato delle due aziende. Una mole di straordinari cui l’antitrust avrebbe fatto volentieri a meno. Di sicuro, Pioneer hi-Bred, di proprietà di DuPont, resta la numero uno mondiale sul mercato del mais, ogm o meno che sia. Quindi nelle seminatrici sarà una lotta globale molto dura al momento di scegliere quali genetiche porre in campo.

Fatto salvo che ora dal grande walzer delle fusioni restano fuori soltanto due big mondiali, ovvero la succitata Basf, tedesca, e la Sumitomo, giapponese, le quali potrebbero resuscitare un asse Tokyo-Ludwigshafen, il resto del mercato mondiale è rappresentato da una pletora di attori medio-piccoli. La danese Cheminova è stata assorbita dalla statunitense Fmc. Continuano a crescere in Europa la belga Belchim e Certis, facente capo alla nipponica Mitsui. Arysta LifeScience, proprietà di un fondo d'investimenti della Florida, ha unificato i cataloghi di tre diverse aziende, ovvero Arysta, Chemtura e Agriphar. Prese singolarmente non erano molto in alto nel ranking, ma ora entrano di filato nella top ten. Per lo meno, fino a che il fondo d’investimento troverà interessante il loro business. In Italia restano poche aziende tutte tricolori. La maggiore è Sipcam, seguita da Diachem e da una miriade di aziende minuscole di soli generici. E forse sono proprio queste medie e medio-piccole che raccatteranno le briciole che giocoforza cadono per terra quando un colosso ne compra un altro. Figuriamoci di fronte a una triplice manovra di proporzioni globali come quelle ChemChina-Syngenta, Dow-DuPont e Bayer-Monsanto. Quasi mai i fatturati delle nuove realtà superano quelli precedenti, presi separatamente. Quindi dei margini di crescita per le piccole cilindrate ci sono eccome. Vedremo se saranno in grado di coglierli.

Di certo, l’orizzonte del mondo dell’agrochimica e della genetica ricorda un po’ la storiella dei dieci piccoli indiani. Uno dopo l’altro spariscono tutti. Solo vent’anni fa esistevano Hoechst, Schering e Rhône Poulenc. Le prime due si fusero a dare Agrevo, la terza si prese poi Agrevo e creò Aventis. Questa durò neanche un anno, perché Bayer se la comprò come reazione allo scandalo Lipobay. A volte la liquidità mette una pezza dove le borse aprono voragini. Adesso nel calderone franco-tedesco entra pure uno spicchio d’America, con Monsanto. Cinque aziende di primaria importanza confluite in una sola, in vent’anni.

Non che ChemChina abbia acquisito solo Syngenta in quanto tale, perché dentro di essa già convivevano da tempo le anime di Ciba-Geigy, di Sandoz e di Ici Solplant, scorporatasi da Zeneca. La fusione che ha messo insieme più vestigia ancestrali è però quella fra Dow e DuPont. Quest’ultima ha sì fatto dei colpacci in passato, come appunto quello di Pioneer Hi-Bred, ma è Dow che pare essersi dedicata a una vera e propria battuta di caccia grossa. In essa aleggiano ancora gli spiriti di Elanco, Verchim Asterias, Ely Lilly, Rhom & Haas e Union Carbide. Già, proprio quella di Bhopal, la cittadina indiana colpita da una fuoriuscita di nubi tossiche da una fabbrica gestita da Union Carbide in modo per così dire “creativo”. Quell’incidente causò la fine dell’azienda americana, nota a livello globale per l’erbicida clorthal dimethyl. E se la risucchiò proprio Dow. Ora, con la fusione delle due Grandi D si crea un polo tutto a stelle e strisce il quale, dopo la dipartita di Monsanto, battente ormai bandiera tedesca, resterà per il Nord America l’unico punto di riferimento di grandi dimensioni.

Con buona pace quindi dei timori dovuti alla progressiva concentrazione delle multinazionali, il mercato prosegue nella sua corsa all’Highlander: ne resterà uno solo? Meglio non alzare la cenere. Potrebbe divampare un fuoco.