Mutui: il pasticcio delle 7 rate non pagate (che forse diventano 18)
Innovazione e mercato
È abbastanza comprensibile che l'idea di perder casa per non aver pagato 7 rate possa colpire l'immaginario così come quasi ovvia è la lettura in termini di "regalo alle banche”. Non è un caso che il governo abbia poi cercato di buttare acqua sul fuoco portando le rate impagate che qualificano l’inadempienza a 18.
Come sempre avviene nel nostro paese quando si tocca un argomento troppo tecnico l'equivoco è dietro l'angolo e, se il legislatore rischia di fare la figura dell'apprendista stregone, chi prova a interpretarne i disegni dovrebbe cercare di resistere alla tentazione del processo alle intenzioni che rischia di far passare messaggi ingiustificatamente allarmistici. Proviamo a fare un po’ di chiarezza sulla questione.
Il punto di partenza è necessariamente la direttiva europea 2014/17/UE del parlamento Europeo e del Consiglio che introduce una serie di tutele a vantaggio dei consumatori, tra le quali la previsione che “gli stati membri non impediscono alle parti di un contratto di credito di convenire espressamente che la restituzione o il trasferimento della garanzia reale o dei proventi della vendita della garanzia reale è sufficiente a rimborsare il credito.”
Per quanto a noi latini questa ipotesi, comune in common law, possa apparire sacrilega (in Italia è nota come patto commissorio ed è vietato dagli artt. 1963 e 2744) si tratta di fatto di un beneficio per il consumatore perché il creditore accetta anticipatamente che, in caso di inadempimento della controparte, l'unica fonte di recupero del proprio credito sia costituita dall'immobile a garanzia. In mancanza di questa previsione il debitore è illimitatamente responsabile e quindi risponde del credito con tutti i suoi beni.
Chiariamo con un esempio: oggi se non posso più pagare il mutuo e il valore della mia casa non è sufficiente a ripagare il debito residuo, la banca può agire in giudizio per recuperare la differenza pignorandomi lo stipendio ed eventualmente altri immobili di mia proprietà. Se ci fosse questa clausola potrei vendere casa e la banca sarebbe “costretta” a condonarmi la differenza.
Che dire del caso opposto? Cosa avviene se la casa vale di più del credito? Il divieto nel nostro ordinamento punta a tutelare il debitore dalla possibilità che il creditore gli estorca ingiustamente l’immobile, cosa che potrebbe essere avere un senso nel rapporto tra due privati, ma risulta molto meno plausibile se facciamo riferimento al rapporto con un istituto di credito, soggetto a forte regolamentazione in nazioni dove esistono avanzate tutele per i consumatori.
Quello che però taglia la testa al toro è uno sguardo sui recuperi storici dalle esecuzioni immobiliari: secondo un recente rapporto di Bankitalia le percentuali di recupero dalle esecuzioni immobiliari si attestano nel 2014 al 49%, in calo dal 66% del 2011. Quello che si verifica tipicamente è che, dopo molti anni di procedure legali, il valore di realizzo degli immobili è ben inferiore al credito e vicino alla metà di quanto valutato dalle perizie all’erogazione. Dunque, posto che il caso più frequente in Italia vede realizzi molto penalizzanti in tempi lunghi, con la prospettiva per il debitore di dover onorare anche il debito residuo, la misura prevista dalla direttiva europea andrebbe letta in chiave positiva e non allarmistica.
Come propone di recepire la direttiva il governo? L’atto del governo n.256 introduce il nuovo articolo 120-duodecies in materia di valutazione dei beni immobili che al comma 3 prevede che : "le parti del contratto di credito possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto di credito o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore, la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l'estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all'eccedenza." In sostanza il testo è abbastanza fedele alla direttiva e aggiunge anche la precisazione che la valutazione dell’immobile sia effettuata da un perito approvato da entrambe le parti.
Volendo provare a tirare le somme, l’elemento che non si riesce a mettere a fuoco e che ingenera la maggior parte delle discussioni riguarda la volontarietà del trasferimento dell’immobile alla banca. Per come sono scritti sia la direttiva che l’atto del governo, sembrerebbe che si voglia introdurre una facoltà di cui il debitore può avvalersi (e quindi di cui può anche non avvalersi) in base a convenienza, e non un obbligo o una forma di trasferimento automatico della proprietà al creditore. Questo aspetto, al momento non chiaro, fa tutta la differenza del caso, perché le proteste dei politici e le riserve dei commentatori avrebbero senso solo se venisse effettivamente introdotto un qualche meccanismo che consentisse agli istituti bancari di entrare nella proprietà degli immobili contro la volontà dei debitori.
Perché occorre uno strumento che possa funzionare contro la volontà del debitore? Già oggi è possibile, e non è infrequente, che il debitore acconsenta a vendere l’asset e che la banca cancelli contestualmente l’ipoteca incamerando i proventi della vendita. Questa vendita consensuale avviene con la “collaborazione del venditore” e l’unica differenza con la nuova normativa sarebbe che lo stralcio del debito, che oggi comunemente la banca accorda (ma potrebbe anche non accordare) sarebbe già previsto alla sottoscrizione del contratto. Viceversa, se il debitore non acconsente alla vendita, occorre avviare una procedura esecutiva: tutti danno per scontato che sia possibile, in un sistema come quello italiano, disciplinare tra le parti il passaggio di proprietà di un immobile dal debitore al creditore anche se il debitore non collabora, ma si tratta di un passaggio tecnico tutt’altro che scontato.
Pertanto se il debitore collabora la misura è (quasi) inutile, se il debitore non vuole collaborare, è tutto da dimostrare che sia costruibile uno schema che evita il passaggio dal giudizio. Per riassumere:
- La direttiva europea vuole agevolare i consumatori consentendo l’esistenza di finanziamenti “a responsabilità limitata” all’immobile a garanzia (e quindi fatti salvi gli altri beni del debitore).
- Il governo, che sta cercando in vari modi (si veda ad es lo sgravio fiscale per gli acquisti in asta) di affrontare il problema delle sofferenze bancarie, vorrebbe utilizzare questo schema per alleggerire i tribunali e sveltire il recupero dei crediti.
- La realtà è che i buoni propositi si scontrano come sempre contro gli ostacoli tecnici e burocratici, per non parlare dei costi politici: con buona probabilità il tanto paventato provvedimento verrà significativamente ridimensionato.
In un prossimo post proveremo a analizzare se il meccanismo di “trasferimento automatico” ipotizzato può apportare un guadagno di efficienza oppure si tratta di una terribile misura per penalizzare i risparmiatori.