Taxi contro Uber. Ma la concorrenza sleale è un'altra cosa
Innovazione e mercato
Pochi giorni fa l'uso dell'app uber-pop è stato bloccato da un'ordinanza del Tribunale di Milano. Il giudice ha accolto una richiesta in tal senso avanzata dalle associazioni dei taxi, che accusano Uber di concorrenza sleale. In particolare, i tassisti sostengono che i conducenti Uber praticano tariffe più basse rispetto a quelle degli taxi ordinari, perché operano senza regolare licenza.
L'ordinanza cautelare del Tribunale previene, così, il danno economico per i tassisti, ripristinando nel settore quella barriera all'ingresso che la tecnologia aveva di fatto rimosso. Però allo stesso tempo produce un danno ancora più grave per gli utenti del servizio in tutta Italia. L'ipotesi di concorrenza sleale a me non pare del tutto pacifica sotto il profilo giuridico. E l'intero provvedimento, poi, è decisamente contrario a ogni logica di efficienza economica.
Prima di entrare nel merito del tema, forse è utile mettere in chiaro un concetto chiave di tutto il ragionamento: la protezione dell'impresa contro gli atti di concorrenza sleale è puramente strumentale. Il fine ultimo è la tutela dell'utente finale. E, aggiungerei, tutelare il progresso economico e sociale. Una determinata condotta dovrebbe essere sanzionabile come concorrenza sleale se ostacola l'innovazione, il miglioramento dei processi produttivi e dei prodotti. Perché è l'innovazione il driver principale della concorrenza.
Non è un caso se le norme, per esempio, sanzionano il concorrente che usa nomi o segni distintivi troppo simili a quelli di un'altra impresa, ne imita pedissequamente e servilmente i prodotti. Oppure, la denigra e getta discredito su di essa. Oppure, ancora, le sottrae in modo scorretto i segreti industriali, oppure le "ruba" i dipendenti. La legge sanziona simili condotte perché se divenissero generalizzate non converrebbe più a nessuno investire e rischiare per innovare, dal momento che i furbi si approprierebbero dei benefici in modo fraudolento. E senza più incentivi a innovare non ci sarebbe miglioramento e progresso, e a rimetterci saremmo tutti.
Abbassare i prezzi e le tariffe, invece, più raramente si configura come un atto di concorrenza sleale. Diventa tale solo in casi particolari, come ad esempio nel dumping, o quando si praticano "prezzi predatori". Quando, cioè, il prezzo viene ribassato artificiosamente sotto il costo di produzione, per un periodo transitorio e al solo scopo di eliminare un'altra impresa dal mercato, sottraendole tutti i clienti fino a farla chiudere. Ma anche questi comportamenti sono considerati concorrenza sleale solo perché minacciano la pluralità di offerenti sul mercato, e con essa gli interessi dell'utente finale.
Ciò premesso possiamo tornare a Uber e ai taxi di Milano. L'ordinanza contesta al servizio Uber il fatto di aver acquisito il proprio vantaggio competitivo in modo professionalmente scorretto, cioè violando degli obblighi di legge. In altri termini, sostengono le associazioni dei taxi, gli autisti Uber possono praticare tariffe più basse solo perché eludono obblighi e vincoli che gli operatori provvisti di regolare licenza, invece, debbono rispettare.
Questa motivazione mi lascia perplesso. Anzitutto perché gli atti commessi in violazione della legge, inclusa l'evasione fiscale e contributiva e (ritengo) anche l'esercizio senza regolare licenza, dovrebbero essere sanzionati in base alle norme specifiche che li riguardano. Invece il Tribunale invoca la concorrenza sleale. E in secondo luogo, soprattutto, il provvedimento manca della giustificazione legata alla tutela del consumatore. Quella che, come si diceva, costituisce il fine ultimo delle sanzioni contro la concorrenza sleale. In verità, l'ordinanza pare andare in direzione esattamente contraria, perché ripristina una barriera alla pluralità delle imprese e limita l'offerta di un servizio a tariffe più basse. Quindi va contro gli interessi dell'utenza finale, non a favore.
Per tamponare questa falla e ripristinare il legame logico tra il provvedimento e la tutela degli utenti, il Tribunale (oltre a richiamare una pronuncia della Cassazione) argomenta che gli autisti Uber, violando le norme sul possesso delle licenze di esercizio, ostacolano le finalità di quelle stesse norme. Che sono le consuete garanzie di standard qualitativi, di sicurezza nel trasporto e di disponibilità in ogni orario della giornata.
Nemmeno questa soluzione mi convince. Soprattutto nel contesto della realtà economica e sociale odierna. In un certo senso si continua a immaginare che l'utente del taxi sia come i protagonisti del film "Totò, Peppino e la malafemmina" che chiedono al vigile "..noio volevam savuar l'indiriss". E invece non è più così (e forse non è mai stato così). La normativa sulle licenze dei taxi assomiglia sempre più a una forma di paternalismo fuori luogo e fuori tempo e si risolve in un ostacolo puro e semplice alla libertà di scelta individuale e nulla più. Perché gli utenti di taxi non sono sprovveduti bisognosi della badante. Sono in grado di comprendere e valutare da sé la qualità e la sicurezza di un servizio. Peraltro, attraverso il voto espresso dagli utenti, l'app uber-pop crea una classifica degli conducenti Uber in base al rating. E così è possibile limitare o escludere quelli che non rispondono agli standard qualitativi richiesti dal servizio.
Ciò detto, la capacità di attrazione e la velocità di diffusione del servizio dimostrata da uber pop sono la migliore prova che si tratta di un servizio sicuro e di qualità. Ed è paradossale che l'ordinanza, invece, ponga questa stessa circostanza come la prova del periculum in mora, cioè come condizione per adottare il provvedimento di urgenza. In altri termini, la rapida diffusione del servizio uber secondo il Tribunale non è prova di qualità e convenienza economica, bensì il motivo per adottare con urgenza il provvedimento a favore dei taxi tradizionali, i quali subirebbero un danno anche in ragione della concomitanza di Expo e della maggiore domanda di corse. Sotto questo profilo, il contrasto tra il punto di vista giuridico espresso dall'ordinanza e quello dell'efficienza economica è veramente stridente.
Data pure per valida l'ipotesi di concorrenza sleale, rimane il fatto che questa condotta dovrebbe essere contestata ai singoli conducenti Uber. Sarebbero loro, infatti, operanti in proprio, autonomamente e senza rapporti di dipendenza, a violare la normativa sul possesso della licenza. Il Tribunale, al contrario, ne attribuisce direttamente a Uber la responsabilità, adducendo motivazioni diverse, le quali partono tutte dal presupposto che l'attività di uber pop non rientra nella cosiddetta sharing economy. In questo senso, tra le altre cose, nell'ordinanza si sostiene che, a differenza di servizi come il car sharing, uber pop non contribuisce affatto alla riduzione del traffico e delle emissioni inquinanti. Anzi, aumenta l'offerta del servizio e quindi il numero delle corse auto.
Questa visione della sharing economy mi pare un tantino "collettivista". Si dovrebbe tenere presente, invece, che quanti si servono del car sharing non lo fanno perché vogliono contribuire alla riduzione del traffico e delle emissioni inquinanti, quello è un effetto complementare positivo. Chi si serve del car sharing lo fa perché è conveniente dal punto di vista economico individuale. La sharing economy, come molte grandi innovazioni di mercato non nasce perché è funzionale a obiettivi collettivi. Nasce e si afferma perché è funzionale a obiettivi individuali ed avanza grazie alla libera scelta degli individui e degli operatori economici.
Mi pare eccessivo, poi, categorizzare in modo rigido un fenomeno che, in fondo, è appena all'inizio. L'innovazione della sharing economy ha una portata che trascende la semplice efficienza dello smartphone e dell'app rispetto al vecchio radiotaxi. È una innovazione che incide profondamente sulle modalità di organizzazione dei fattori produttivi e sulle possibilità di intermediazione efficiente tra l'offerta di servizi e i bisogni degli utenti finali. In sintesi, se come abbiamo assunto all'inizio, le norme contro la concorrenza sleale mirano a tutelare l'incentivo all'innovazione, l'ordinanza su uber-pop è completamente fuori strada. Per lo meno dal punto di vista della logica e dell'efficienza economica. E comunque, l'affermazione della sharing economy, in forme sempre più ibride e differenziate, è una cosa che non si può bloccare per molto tempo.
Uber sicuramente presenterà un reclamo al Collegio del Tribunale per fare annullare l'ordinanza. Come andrà è tutto da vedere. Il Collegio potrebbe bocciare l'ordinanza e ripristinare l'operatività di uber pop. In questo caso si aprirebbe la strada a un intervento legislativo di riforma del settore. Intervento che a quel punto sarebbe urgente anche per fermare la conflittualità che si riaccenderebbe tra i taxi e i conducenti Uber. Oppure potrebbe bocciare il reclamo di Uber (e poi anche l'eventuale ricorso in giudizio di merito). E in questo caso sarebbe rinviata al futuro anche la riforma della regolazione. Ma comunque vada a finire la partita del Tribunale di Milano, questo settore non potrà restare a lungo così come è oggi. Anche perché, nel secondo caso, è probabile che Uber trasformi il proprio servizio, adattandolo e rendendolo nuovamente compatibile con la normativa attuale, magari eludendola in qualche modo.
Nella logica economica corporativa ogni atto di concorrenza è considerato di per sé sleale. Nel medioevo non potevi esercitare un'arte o un mestiere senza essere iscritto e protetto dalla corporazione che lo rappresentava. A nessuno era consentito invadere il "campo altrui". Per certi versi, ancora oggi, dopo mille anni, si ritrovano tracce di questa mentalità antica in chi vorrebbe vedere ogni prodotto e ogni servizio collocati nella propria nicchia di mercato senza disturbarsi l'uno con l'altro. È l'aspirazione degli incombenti a una situazione di perfetta tranquillità, in cui possono fare affari indisturbati mentre gli innovatori, artefici del cambiamento, quelli che smuovono la quiete, sono accusati di comportamento sleale. È un classico. Quando si è costretti a cedere un pezzo del proprio mercato, a perdere parte della propria clientela, con amarezza si punta il dito contro la slealtà del concorrente "forestiero" di turno.
Ma il vero driver della concorrenza e del progresso è proprio l'innovazione e il cambiamento che porta con sé. L'immissione sul mercato di nuovi prodotti e l'introduzione di nuovi processi produttivi, tecnologicamente più avanzati ed efficienti. L'innovazione è sempre una minaccia per le imprese incombenti, che su prodotti, modelli e processi di produzione consolidati hanno costruito e sfruttato posizioni di monopolio. Posizioni che, ovviamente, vorrebbero continuare a mantenere. J. A. Schumpeter, economista austriaco, negli anni '40 chiarì molto bene che in un processo dinamico di concorrenza le posizioni di monopolio sono sempre temporanee. Perché, a meno che non si voglia impedire per legge la libera scelta individuale, l'innovazione e il progresso vincono sempre.
Per finire, non posso escludere che il settore dei taxi tradizionali diverrà una specie di roccaforte in grado resistere all'invasione dei "barbari". Ma per quanto tempo potrà resistere? Insomma, Uber come gli odiosi conquistatori romani, e i tassisti come i simpatici galli guidati da Asterix e Obelix? Staremo a vedere.