logo editorialeÈ difficile prendere partito tra i sostenitori delle magnifiche sorti e progressive del Senato no cost e della Repubblica 2.0 e i difensori della Costituzione in pericolo, aggrappati mani e piedi ai feticci della Carta più bella del mondo.

Volendo guardare al contenuto della grande riforma, questa si fa piccola e in larga misura inessenziale. La discussione è stata concentrata sugli aspetti più propagandisticamente sensibili - il quantum contabile dei tagli di poltrone e stipendi, e l'irrigidimento del confine tra il centro e la periferia, sia in rapporto al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, che a quello tra Camera e Senato - e quindi è stata di fatto depistata rispetto alle questioni - che attengono per un verso alla forma di governo e per l'altro all'uso auto-ostruzionistico dei meccanismi di garanzia - su cui storicamente poggia la cronica inefficienza del nostro sistema istituzionale.

Non è una riforma epocale, non è buona, forse neppure sufficiente. Ma solo i matti e i fanatici vi possono vedere l'ombra di un progetto eversivo e di quel colpo di Stato "democratico" di cui cianciano i grillini, con echi trasversali a destra e pure a sinistra.

Dal punto di vista politico poi è decisamente illusorio pensare che il superamento del bicameralismo perfetto, di per sé, renda più veloce un percorso riformatore che - come dimostra anche la vicenda del Governo Renzi - in genere rallenta e si arresta molto prima di arrivare alle camere, tra i non possumus e gli equivoci del riformismo win win, che non si impegna a ripartire in modo più giusto e efficiente i costi dell'aggiustamento di un paese molto più guasto di quanto si vorrebbe ammettere, ma promette tutto a tutti in spericolati esercizi di ottimismo. Anche in questo caso, l'alternativa opposta dai "resistenti" è decisamente peggiore e perfino grottesca, cioè il consolidamento di un modello di consociativismo coatto, come se la sola alternativa democraticamente dop per il funzionamento delle istituzioni fosse quella tra unanimismo e caos.

Di tutto quello di cui avrebbe senso chiedere conto a Renzi e alla sua ministra Boschi, non c'è invece traccia negli statement dell'opposizione indignata e arrampicata sulla torre d'avorio degli ottomila emendamenti a urlare a un pericolo che non c'è e a non vedere i pericoli che ci sono e che non sono - né sono mai stati nella storia dell'Italia repubblicana - quelli di una "dittatura della maggioranza".

Di un posizione se non terzista, almeno terza, non pregiudizialmente ostile, ma non conformisticamente acritica rispetto alla bozza Finocchiaro-Calderoli, sarebbe utile che ci fosse qualche traccia in parlamento - ma di fatto quasi non c'è e il quasi purtroppo non conta. Questo passa il convento, lo scontro tra il partito No pasarán e quello del premier, a cui l'ostruzionismo trasversale fa un regalo forse pure atteso, ma immeritato. Ancora una volta, quella tra l'o di qua o di là, tra la minestra di Renzi e la finestra di Mineo, è un'alternativa falsa, ma obbligata.

@carmelopalma

boschi grande