logo editorialeL'impressione, a volere sottilizzare il giudizio sullo scontro istituzionalmente nucleare tra il capo del Governo e il presidente del Senato (e delle sue truppe di complemento guidate dagli immarcescibili Zagrebelsky e Rodotà) è che a confrontarsi non vi siano una ragione e un torto, ma due ragioni e due torti uguali e contrari, al servizio di due opposti "estremismi".

Grasso ha (in teoria) ragione quando dice che smontare il sistema bicamerale, in assenza di misure di riequilibrio istituzionale e in presenza di una legge elettorale che "maggioritarizza" la dinamica politica, rischia di alterare il sistema di checks and balances della democrazia italiana. Renzi ha (in teoria) ragione a sostenere che il trade off tra stabilità democratica e efficienza politica è alla base del default del nostro sistema istituzionale e che è questo il problema a cui occorre, in primo luogo, porre rimedio.

Si potrebbe provare a immaginare una riforma che tenga conto di entrambe queste ragioni? Si potrebbe (in teoria).

Grasso ha invece torto a manovrare contro Renzi i numeri del consenso possibile al Senato sulla riforma del bicameralismo e a presentarsi nel dibattito pubblico come il capo del "sindacato autonomo" dei senatori. Renzi ha torto a fissare paletti "non negoziabili" (la natura non elettiva della seconda camera e la gratuità del relativo mandato parlamentare) che non hanno praticamente niente a che fare con l'obiettivo finale, che è (in teoria) la fine del bicameralismo perfetto.

Grasso concretamente dà l'impressione di usare i grandi principi dell'equilibrio democratico per garantire il ruolo dei "suoi" senatori (e dei senatori del Pd all'interno degli equilibri del PD). Renzi quello di voler superare a ritmo di carica il bicameralismo per presentare agli elettori lo scalpo di 315 "senatori pagati". Visto dunque che Renzi e Grasso sembrano tenere molto più ai propri torti, che alle proprie ragioni, e visto che il loro confronto purtroppo non sta dentro, ma fuori, la never ending story del congresso del PD, il compromesso (in pratica) è impossibile.

Peraltro questo scontro nucleare non rimanda neppure a un confronto serrato su proposte, ma solo su principi e quindi è quasi un parlare di nulla. La proposta definitiva del governo non c'è ancora e da quella provvisoria neppure si capisce perché debba esistere una seconda camera, se il suo compito è di chiacchierare in libertà sulle leggi votate dalla prima — senza alcuna competenza né esclusiva, nè condivisa, neppure sulle "leggi riguardano i territori e l'Europa" (come oggi promette Renzi) — e di complicare gli atti costituzionalmente più sensibili (la revisione della Carta, la composizione della Consulta e l'elezione del Capo dello Stato). Grasso vorrebbe invece un Senato più forte, ma come, in che senso e su cosa si è ben guardato dal dirlo e una sua proposta, c'è da giurarlo, non arriverà mai.

È difficile, su questa base, decidere da che parte stare. Altrettanto evidente è che questo scontro, rimandando ad una alternativa politica più generale, non si riduce solo al merito propriamente costituzionale della riforma annunciata. Dovendo scegliere obtorto collo tra il dilettantismo costituente dei rottamatori e la cattiva coscienza dei professionisti dell'allarme democratico, sembra comunque più prudente e perfino patriottico schierarsi con i primi. È la stessa ragione per cui, nel 2006, aveva senso stare con Calderoli e con la sua riforma "così e così" (molto più seria e organica, va detto, di quella fino ad oggi imbastita da Renzi) contro Scalfaro e la banda dei feticisti della Costituzione che preconizzavano, allora come oggi, il rischio autoritario e la fine della democrazia.

@carmelopalma