Smilitarizzare Gaza. La missione giusta e impossibile di Israele
Editoriale
Domenica, tredicesimo giorno di guerra. A Gaza, la giornata più sanguinosa. Giornata controversa anche sul fronte mediatico. La guerra si combatte anche lì. Si combatte soprattutto lì: i cadaveri dei palestinesi contro gli argomenti degli israeliani. Argomenti giusti, forti se non per quel "ma", che si chiama sangue della popolazione civile.
Domenica alla Cnn il Primo Ministro israeliano Netanyahu ha detto che l'obiettivo dell'operazione Protective Edge è "smilitarizzare Gaza". Come d'altronde prevedevano gli accordi del 2012. Questo non è avvenuto, è avvenuto il contrario. La Gaza di Hamas è diventata "una fortezza del terrore finanziata ed equipaggiata dall'Iran". "Questo – insiste il premier israeliano – deve finire. I tunnel devono essere chiusi."
Impossibile – oggettivamente – negare la fondatezza di questi argomenti e negare la legittimità, razionale, degli obiettivi militari esplicitamente indicati dal leader israeliano. Tuttavia c'è un numero, 65: i palestinesi morti solo nella mattina di domenica. Tra loro bambini. "Un'atrocità", per il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon che tuttavia fallisce nel tentativo di negoziare una risoluzione umanitaria caldeggiata dalla Giordania che tenga conto dei termini della questione, che solo umanitaria non è.
Cessare il fuoco, concordare una tregua a Gaza è necessario, almeno quanto lo è sradicare alla fonte le cause della perenne non-tregua. E quella causa è Hamas. I tunnel del terrore – l'obiettivo dell'azione militare israeliana – sono l'infrastruttura economico-militare con la quale Hamas esercita la governance sulla guerra permanente. Il confine tra civile e militare, tra attività economica illegale e attività militare, tra terrorismo e opportunismo, è ormai indecifrabile.
Finché Hamas starà lì con la sua ideologia e le sue armi, continuando a mantenere Gaza come un eterno campo militare, a Israele non rimarrà altro che continuare a difendersi, cioè passare da periodi transitori di calma relativa a periodi di attacco. Un nonsense che il Ministro della Giustizia israeliano, la moderata Tzipi Livni, ha fatto notare mettendo in rilievo appunto la grande ipocrisia che sta dietro le invocazioni al cessate il fuoco: cessarlo fino a quando Hamas deciderà di riprendere la sua opera di distruzione dello Stato di Israele? Cessare il fuoco, cioè fino alla prossima ripresa del fuoco, unilaterale, come sempre avviene da quando Hamas è Hamas, contro le popolazioni civili israeliane?
Le vittime civili palestinesi sono predestinate al martirio, e lo sono a causa dell'obiettivo esclusivamente jihadista di Hamas. Smilitarizzare Gaza dovrebbe essere missione comune e prioritaria per l'intera comunità internazionale, perché è questa l'unica strada per salvare i civili palestinesi, di oggi e di domani, da un destino da scudi umani permanenti cui li costringe la leadership politico-militare della Striscia.
Il bilancio dei morti sale, la pressione delle coscienze civili monta, e il disagio politico investe anche gli Usa, con il Segretario di Stato John Kerry che si fa beccare, prima di andare in onda sulla Fox, al telefono con un suo collaboratore che lo aggiorna sulla situazione sul campo: i morti, gli sfollati, la tragedia di Gaza. Il commento di Kerry, sarcastico, è alla "precisione" degli attacchi israeliani.
Suona strano, sulle labbra dell'uomo di Obama, visto che un minuto dopo, in onda, esprimerà a nome dell'Amministrazione Usa piena comprensione per Israele, e condivisione per l'obiettivo di colpire Hamas, i tunnel, il serbatoio di quel 'mortificio' che è diventata la Striscia sotto il controllo dell'organizzazione jihadista. Quel fuorionda, tuttavia, rivela quanta poca voglia si abbia in Occidente di macchiarsi la coscienza del sangue innocente dei bambini di Gaza, pur comprendendo le ragioni, pur condividendo i principi, pur stando dalla parte di Israele, politicamente e culturalmente, nella sacrosanta lotta per il diritto dello Stato ebraico a esistere.
Non avvertiamo lo stesso orrore per i morti in Iraq, in Siria, in Libia. La guerra a Gaza ha un "plot" narrativo troppo forte per poterlo contrastare con la forza della ragione. Anche se è la ragione, quella degli israeliani, l'unica strada che può impedire che il sangue dei palestinesi continui a sgorgare.