Un antidoto all'impotenza liberale
Editoriale
Quella dei liberali italiani è una diaspora più ridicola che tragica. Molti sono periti – intellettualmente e moralmente – strozzati da "Laocoonte Berlusconi", che del liberalismo ha fatto soltanto un uso retorico, fino a distruggerne quasi completamente la dignità politica, e dei liberali rimasti con lui l'uso che meritavano, quello dei menestrelli in una corte di accattoni. Altri, che da quel milieu hanno provato ad affrancarsi e ad affrancare il centro destra italiano da quel milieu, hanno fallito la sfida, per limiti propri e responsabilità dei leader transitori a cui si sono accompagnati, di volta in volta o troppo politicisti o troppo poco, e comunque prematuramente arrendevoli. Col risultato che oggi, ogni volta che qualcuno menziona la parola 'elezioni', muore un cucciolo di liberale.
Vale anche per le prossime europee, ovviamente, per le quali il fronte della demagogia e del populismo è allineato e coperto da destra a sinistra – da Berlusconi ai seguaci di Tsipras passando per Grillo – e ciononostante nessuno in Italia pare riuscire a metter su uno straccio di offerta politica alternativa che parli decentemente il linguaggio del realismo e del cosmopolitismo continentale. Mi rifiuto di credere che, in un Paese relativamente grande e sviluppato, ancorchè residua, non via sia una domanda politica simile che stia in un intorno tra il 5 e l'8 per cento. Un anno fa, se solo sommiamo i suffragi alla Camera per Scelta Civica e Fare per Fermare il Declino, un'area del genere valeva il 9,6 per cento e che superava il 10 per cento coi Radicali e il PLI.
Oggi quelle stesse formazioni insieme fanno meno della metà. E' partendo da questo assunto – e cioè che il loro valore politico residuo è una grandezza tendente allo zero – che le forze positive ancora presenti in quei gruppi dovrebbero decidere di far saltare anche lo schema dello loro inutili identità residue, mettendosi insieme al servizio di un progetto intelligentemente europeista e convintamente antidemagogico, che parli ad imprenditori e professionisti, gli interpreti più interessati a uno spazio economico e civile comune in Europa e, perchè no, alle nuove generazioni.
Ma servono due elementi, per avere una qualche chance di successo.
Primo, una narrativa visionaria, che racconti un'idea praticabile di politica comune senza scadere nel tecnocratese e nei numeri. Irrobustita da un po' di sano terrorismo realista, che faccia capire all'elettorato che le paure per le quali voterebbero i populisti sono nulla a confronto delle pene che riceverebbero indietro dalla chiusura della società che quelli propongono. Si potrebbe iniziare col raccontare agli Europei la storia di un continente in cui cento anni fa, nel giugno del 1914, i suoi membri preparavano lo sterminio di due generazioni dei propri figli attraverso due guerre mondiali. Per finire col referendum svizzero di ieri, che chiude le frontiere ai cittadini UE, inclusi i transfrontalieri del nostro nord Italia, che adesso rischiano reddito e libertà.
Secondo, una classe dirigente all'altezza e coraggiosa, che voglia seminare nel breve per raccogliere nel medio periodo (leggi elezioni politiche interne). Perchè allora non seguire l'esempio dei liberali austriaci - Liberales Forum e NEOS - che si sono recentemente fusi per dar vita ad un unico soggetto in chiave liberaldemocratica europea? Ricordando che, qua e là in Europa, i liberali sono ancora capaci di ottenere responsabilità di governo, come in Slovenia, con il primo ministro Alenka Bratušek, o nel Lussemburgo del giovane Xavier Bettel, o ancora in Repubblica Ceca.
Non so dire se questa strategia funzionerebbe, ma non ne vedo altre. Il centrodestra berlusconiano rimane un'area impraticabile, mentre consegnarsi disarmati a Renzi, contendendo la palma dei migliori "perdenti" ai gruppuscoli alla sinistra del PD non mi sembra una mossa nè coerente, nè intelligente.
Riferendosi alla situazione europea dei suoi anni, Churchill una volta disse che "il liberalismo è un patriottismo più largo e una cittadinanza comune per le genti divise di questo continente potente e turbolento". Che cosa ne sarebbe di noi se lui, il suo paese e le sue idee non avessero avuto ragione nel secondo dopoguerra? C'è un'intera campagna elettorale per elaborare una risposta convincente.