Passaporti, un po' di chiarezza
Diritto e libertà
Pochi, maledetti e subito. Sembra sia questo il principio alla base dell'emendamento Tonini al D.L IRPEF (l'ormai famigerato "decreto degli 80 euro") che aumenta il costo iniziale del passaporto ma abolisce l'obbligo di pagare il bollo annuale.
Sulla stampa italiana è stata grande la confusione all'annuncio di questa piccola, ma significativa riforma: alcuni gridano allo scandalo per l'aumento delle tasse, altri plaudono alla loro diminuzione, altri, infine, colgono l'occasione per lamentarsi del troppo neoliberismo, che ancora non si capisce esattamente dove sia e che cosa sia, ma ci sta sempre bene.
In realtà, per comprendere cosa sia successo, bisogna innanzitutto conoscere la normativa attuale, che però, invece, pare sconosciuta alla maggior parte degli italiani, che abbiano il passaporto o meno, che lo usino nello spazio UE o fuori, che facciano i giornalisti o che semplicemente si interessino ancora alle vicende di questo nostro Paese.
Finora, all'atto di emissione del passaporto si pagavano 42,50 di costo materiale del libretto, più il primo bollo da 40,29 euro: su una delle pagine del documento appena emesso era scritto "tassa pagata per anni uno". Dopodiché, per ogni anno in cui si fosse usato quel passaporto per uscire dallo spazio UE, si sarebbe dovuta pagare una nuova marca da bollo da 40,29 euro; in compenso, se non si usava il passaporto al di fuori dello spazio UE, non bisognava pagare nulla di aggiuntivo.
Il sistema delle marche da bollo era una delle unicità tipiche del glorioso Made in Italy: esisteva solo in Italia e l'applicazione delle norme era quanto mai incerta. Come molti dei sistemi adottati dalla burocrazia italiana, era farraginoso, ridicolo e la maggior parte dei possessori di passaporto lo eludeva, spesso per materiale ignoranza o impossibilità a procurarsi la marca.
D'altra parte, almeno secondo la vulgata dei viaggiatori, bastava fare una tappa in un Paese dello spazio UE prima di uscirne (ad esempio uno scalo a Parigi prima di un volo per gli Stati Uniti) per aggirare facilmente il balzello: il furbo viaggiatore poteva usare la carta d'identità da e per Parigi, tirando fuori il passaporto solo per la tratta estero su estero, e nessuno avrebbe potuto chiedergli conto della marca da bollo mancante. C'era anche chi sosteneva che questo escamotage non valesse, poiché se un funzionario di dogana particolarmente zelante avesse visto un passaporto senza marca ma con i timbri di Paesi extra-UE avrebbe comunque potuto comminare una sanzione piuttosto salata. Questo piccolo riassunto dello stato dell'arte può bastare a far capire quanto poco chiara e – salvo particolare sfortuna – facilmente aggirabile fosse la legge (ancora per poco, si spera) vigente.
Ora, però, le norme stanno per cambiare. Il senatore Giorgio Tonini, estensore dell'emendamento di cui parliamo, dichiara: "In analogia a quanto fanno i nostri maggiori partner internazionali, ho proposto di riformare il meccanismo di tassazione del passaporto, unificando tutti i tributi attualmente previsti in un'unica tassa pagata al momento dell'emissione (73,50 euro più il costo del libretto, lasciato invariato a 42,50 euro); rispetto all'attuale costo di emissione, l'importo è aumentato per compensare il minore introito derivante dalle tasse annuali che non saranno più dovute".
L'emendamento Tonini abroga l'articolo 18 della legge 1185/67 "Norme sui passaporti", che recitava "Per il rilascio o il rinnovo del passaporto ordinario in Italia o all'estero è dovuta la tassa di lire 6.300 per anno o frazione di anno di validità oltre al rimborso del costo del libretto. Il costo del libretto è determinato dal Ministero degli affari esteri, sentito il Ministero del tesoro [più altre specifiche che in questa sede non interessano, essendo peraltro l'articolo abrogato, NdR]", sostituendolo con "Per il rilascio del passaporto ordinario è dovuto un contributo amministrativo di euro 73,50, oltre al costo del libretto. Il contributo amministrativo è dovuto in occasione del rilascio del libretto e va corrisposto non oltre la consegna di esso all'interessato. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro degli affari esteri, sono determinati il costo del libretto e l'aggiornamento, con cadenza biennale, del contributo di cui al primo comma".
In sostanza, questa riforma converrebbe a chi nel periodo di validità del passaporto fa due o più viaggi nello spazio extra-UE in anni diversi (e sono poi le persone che ne hanno più necessità); rappresenta invece, nei fatti, un aumento per chi il passaporto lo richiede per un viaggio solo oppure lo rinnova in prossimità delle elezioni, tanto per averlo pronto in caso di necessità subitanea di emigrare.
Perché dunque riassumere la vicenda con "pochi, maledetti e subito"? Perché ciò che, se l'emendamento fosse confermato com'è oggi, aumenterebbe è il costo del passaporto all'atto dell'emissione, un prezzo da pagare per forza, pena il non rilascio del documento. Si abolisce invece un bollo che, sebbene potenzialmente in grado, nel caso di viaggiatori abituali, di portare nelle casse dello Stato una somma maggiore, veniva comunque, nei fatti, evaso o eluso nella maggior parte dei casi.
Insomma, una misura di efficienza che serve allo Stato per avere da questo settore introiti più certi, nonché per abolire un balzello presente solo in Italia, che finora ha generato molta confusione sia nei viaggiatori, sia in chi era preposto al controllo dei passaporti: se rappresenti in effetti una riduzione o un aumento delle tasse dipende più che altro dalle ragioni per cui si richiede il passaporto e dalla frequenza con cui lo si usa.
L'unica incognita rimane la possibilità che il ministero si riserva di "aggiornare" il costo del contributo amministrativo ogni due anni: chiunque abbia vissuto per qualche tempo in Italia sa che quell' "aggiornare", in un caso del genere, è sinonimo di "aumentare" e che nel giro di una decina d'anni potremmo trovarci a pagare per il passaporto molto più di quanto si paghi ora. In ogni caso, l'impatto di questa – chiamiamola così – misura di contrasto alla deflazione lo scopriremo solo vivendo, come diceva quello, quindi è inutile lanciarsi ora in previsioni ottimiste o catastrofiste.
L'emendamento Tonini, dunque, non merita, almeno ad oggi, tutto l'allarmismo che ha sollevato: è una misura di semplificazione tutto sommato condivisibile, nella realtà di un Paese in cui la materia fiscale è ormai un sapere ermetico accessibile a pochissimi.