Coldiretti e protezionismo: due pesi, due misure
Innovazione e mercato
È di pochi giorni fa la notizia che, come già altre volte negli anni passati, la Coldiretti ha organizzato una sorta di blocco doganale al Brennero per intercettare camion con prodotti alimentari stranieri diretti in Italia.
La manifestazione ha avuto grande risonanza mediatica ma poco impatto oggettivo: pare che, su centinaia di trasporti fermati e controllati, ne sia stato trovato soltanto uno “irregolare”.
Pochi risultati, dunque, e tanta retorica per un’iniziativa che, a detta dei suoi organizzatori, punta a difendere il Made in Italy dalle importazioni straniere: “Stop alle schifezze dall’Europa” viene riportato come slogan della manifestazione, ad assecondare, sospettiamo, il sentimento antieuropeista che sempre più spazio ottiene sui media di qualunque tipo.
La protesta ha effettivamente delle ragioni: il fatto che produrre alcune materie prime, come il latte, in Italia costi di più rispetto al resto d’Europa, a causa della burocrazia e del maggior costo dell’energia e del lavoro, è innegabile. Tuttavia, pensare di risolvere il problema col protezionismo è, a nostro avviso, quantomeno illusorio: le pressioni, semmai, andrebbero concentrate sul governo italiano, perché riduca burocrazia e accise, anziché accontentarsi delle generiche dichiarazioni di un ministro che, come al solito, asseconda la retorica popolare e populista spostando le responsabilità sull’Europa cattiva, senza impegnarsi a cambiare niente a livello nazionale.
Peraltro, suona abbastanza comico che, ad invocare misure protezionistiche e chilometro zero, sia la stessa Coldiretti che, quando l’export del vino italiano va particolarmente bene, emette comunicati dai toni trionfalistici, quasi da Istituto Luce, sugli stranieri che preferiscono il nostro spumante.
Non c’è, naturalmente, niente di male nel rallegrarsi dei buoni risultati di questo settore o di altri; il Paese è in crisi e qualunque notizia positiva sull'export è la benvenuta.
La contraddizione che non si può fare a meno di notare è in una linea politica e comunicativa che elogia in maniera acritica i “buoni” prodotti italiani commerciati all’estero,mentre allo stesso tempo vorrebbe impedire ai “cattivi” prodotti stranieri di trovare un mercato in Italia.
Le barriere alla concorrenza ancora in vigore in tanti, troppi settori del nostro Paese hanno probabilmente abituato male molti produttori, che credono basti invocare protezionismo, controlli e dazi - più burocrazia, più costi, più passaggi, tanto paga Pantalone, alias il consumatore finale - per tenere fuori dalla porta il mercato globale.
Mettersi in condizioni di competere sui prezzi e sulla qualità, chiedendo magari alle istituzioni italiane leggi più semplici e tassazione più umana, senza gettare la colpa sull'Europa, sarebbe meno anacronistico e più onesto. Speriamo che il concetto venga compreso presto; qualcuno che l'ha capito, per fortuna, esiste già.