L'innovazione e l'apertura dei mercati sono una straordinaria occasione per l'agroalimentare italiano. La forza della tradizione è di farsi modernità. Dal TTIP, il trattato di libero scambio euro-atlantico, è lecito aspettarsi più vantaggi che danni. L’Italian Sounding? Si copiano solo le cose belle. Un'intervista a Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio per la tutela del Grana Padano.

Quercetti Grana sito

Il Consorzio per la tutela del Grana Padano è sbarcato all'Esposizione Universale di Milano con un progetto speciale. A Cascina Triulza, ogni giorno, un caseificio produce due forme di Grana Padano DOP Made in Expo 2015. Dopo la stagionatura verranno messe in vendita e il ricavato andrà in beneficenza. Partiamo proprio da Expo, nell'intervista a Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio per la tutela del Grana Padano.

Come appare Expo agli occhi di una grande (e diffusa) impresa dell'agroalimentare? Qual è il bilancio che si può fare a due mesi dall'inaugurazione?
Il bilancio dei primi due mesi è certamente molto positivo. L’interesse verso Expo è alto e chi ne è in qualche modo coinvolto è partecipe di questo successo. Noi che siamo in sette location abbiamo per il momento solo la sensazione - alla fine ne avremo una misura più precisa - di essere tra i prodotti alimentari ricordati dai visitatori come protagonisti di Expo, cioè protagonisti di un’iniziativa che sta facendo fare gran bella figura all’Italia.

È possibile fare Made in Italy di qualità - anche con prodotti che hanno una forte connotazione "tradizionale" - accettando le sfide, anche tecnologiche, della competizione globale, o è davvero necessario ripiegare solo su una nostalgica rievocazione del passato, come in tanti tendono a fare?
Il passato serve a ricordare storie, radici, tradizioni e legame con il territorio. Ed è importante. Ma l’innovazione della proposta al consumatore e lo sguardo rivolto al futuro oggi non sono solo un’esigenza, ma un’occasione di successo, che arriva nel punto in cui la tradizione incontra la modernità.

Proprio in questi giorni è scoppiata una polemica che ha come tema il latte in polvere. L'Unione Europea chiede all'Italia di superare una vecchia normativa nazionale che vietava di fare formaggi con il latte in polvere, in nome delle regole del mercato comune, e le reazioni in Italia sono state molto negative, quasi che quella direttiva europea ci imponesse il latte in polvere per tutti i formaggi. Esagerazioni a parte, casi come questo fanno venire alla luce i pro e i contro del mercato comune: bisogna accettare regole uguali per tutti, e superare leggi che proteggevano i mercati nazionali, in cambio dell'opportunità di competere con le proprie eccellenze su una piazza molto più vasta. È un gioco che vale la candela?
Le regole vanno rispettate, sempre, quando si è in un consesso al quale liberamente si è a suo tempo deciso di partecipare. Si può insistere alzando la voce quando le decisioni sono diverse dai “desiderata”, ma alla fine alla volontà della maggioranza è necessario adeguarsi. Quando queste regole, come quelle per i formaggi con la polvere di latte, ci appaiono poco rispettose della trasparenza verso il consumatore, allora occorre essere bravi e diventare capaci di trasformare quelli che sembrano dei limiti in opportunità. Spiegare e fare concretamente vedere le differenze tra i formaggi fatti solo con latte italiano e quelli prodotti con polvere di latte è una grande opportunità, che va colta. Poi sarà il consumatore, una volta che sia stato correttamente e adeguatamente informato, a decretare il successo o meno di un prodotto.

Se parliamo di mercati aperti, oggi, non possiamo non parlare di TTIP, il trattato di libero scambio euro-atlantico. Se ne parla spesso in un'ottica negativa, paventando il pericolo dell'invasione di prodotti stranieri, ma forse non si tiene in debito conto che il nostro agroalimentare ha una fortissima vocazione all'export, e che quindi potrebbe beneficiare della caduta di nuove frontiere. Insomma, dal suo punto di vista, è lecito aspettarci più vantaggi o più danni dall'abbattimento delle barriere commerciali con gli Stati Uniti?
Certamente è lecito aspettarsi più vantaggi che danni. Occorre limitare i danni, ma gli accordi TTIP devono andare avanti il più celermente possibile. Il nostro mercato è - e sempre più dovrà essere - il mondo.

Sempre a proposito di TTIP, una delle issue in discussione nel negoziato riguarda la differenza di impostazione giuridica nella politica di tutela dei prodotti. Gli Usa non tutelano l'origine, ma il marchio. Invece in Italia, dove, salvo alcune importanti eccezioni, i prodotti tipici non coincidono con un marchio (pensiamo ad esempio al caso della mozzarella di bufala) esiste l'esigenza di tutelare l'origine geografica e un disciplinare specifico di produzione. Non sarebbe il caso che i produttori italiani, fatte salve le esigenze dei "piccoli" sulle produzioni di nicchia, seguissero un esempio virtuoso come quello del Grana Padano, ad esempio consorziandosi e facendo coincidere il più possibile un prodotto con un marchio difendibile secondo logiche non protezioniste?
Lasciamo agli altri la risposta. Noi possiamo solo dire che, se il Grana Padano non fosse una DOP, negli USA avrebbe qualche vantaggio in più usando le leggi statunitensi sulla tutela del marchio industriale, perché potremmo consentire l’uso del nostro logo sulle confezioni realizzate negli USA. La cosa al momento ci è vietata perché le regole della DOP impongono che le confezioni senza crosta di Grana Padano vengano realizzate solo nel territorio DOP. Quindi negli USA gli importatori confezionano scrivendo Grana Padano sul pack perché dentro i sacchetti c’è vero Grana Padano, ma non possono usare il nostro noto rombo giallo con la scritta nera. E questo per noi è un limite. Sarebbe come vietare di mettere il famoso cavallino rampante sulle Ferrari che girano per le strade statunitensi. È così, ma non ci piace.

Si parla spesso della questione "Italian Sounding": secondo alcune analisi, un fatturato di circa 60 miliardi l'anno sarebbe sottratto all'agroalimentare italiano da prodotti che evocano il made in Italy pur non essendo made in Italy. Al di là della difficoltà di fare stime certe del fenomeno, e del fatto che spesso il vero made in Italy non è in reale concorrenza con l'Italian Sounding (spesso si tratta di prodotti a basso o bassissimo costo) quale può essere la strada per contrastare il fenomeno? E una maggiore apertura delle frontiere non favorirebbe proprio l'accessibilità del vero Made in Italy anche là dove oggi sono reperibili solo le sue imitazioni?
L’Italian Sounding si batte solo con un'informazione chiara al consumatore, vietando sulle etichette dei “copioni” fuorvianti messaggi che richiamano produzioni italiane che italiane non sono e facendo campagne che favoriscono la distinzione e la chiarezza, come dicevo prima. Poi, fatta chiarezza su questo, lasciamoli pure copiare: si copiano solo le cose belle, buone e di pregio. I dazi doganali e le limitazioni commerciali andrebbero aboliti, dappertutto. Il mercato libero è una fortuna e una grandissima opportunità. E soprattutto occorre sempre avere rispetto del consumatore, che deve poter scegliere liberamente, ma una scelta è davvero libera solo se è informata e consapevole. Purtroppo oggi non sempre è così e il consumatore è ingannato da etichette incomplete e poco chiare. Sull’etichetta di tutti i prodotti andrebbe evidenziata la provenienza della materia prima e il luogo in cui è trasformata. Quando sarà così, se mai accadrà, di Grana Padano nel mondo se ne venderà molto di più e delle imitazioni potremo non curarcene. Perché il consumatore informato e consapevole è il nostro più grande e strategico alleato; è giusto avere paura del buio, mai della luce.