carlo nordio grande

La carriera garantistica di Nordio, prima da procuratore e poi da commentatore politico, merita forse un giudizio più problematico di quello che la guerra senza quartiere della magistratura associata e dissociata gli ha oggi generosamente guadagnato: di estremo baluardo di un’idea civile della giustizia e di ultimo e eroico oppositore di quell’inquisizione mediatico-giudiziaria, che è in Italia il riconosciuto surrogato popolare della giurisdizione penale.

Rimane però il fatto che oggi quello di Nordio sembrerebbe proprio essere lo scalpo che il potere togato ha ottenuto dal potere politico ufficiale, come qualcosa che, per usare (in modo chiaramente indebito) un gergo gherardo-colombiano, potrebbe chiamarsi il “prezzo del ricatto”.

Nordio, da quel che si è capito, è saltato o salterà sulla pretesa, apparentemente “eversiva”, di circoscrivere ragionevolmente il perimetro dell’intercettateci tutti e di evitare che le spiate ricettate dai ladri autorizzati di veline giudiziarie ammazzino la reputazione di indagati o orecchiati di varia risma, prima che sia un giudice a stabilire se quelle comunicazioni abbiano un qualche senso o una qualche utilità dentro l’aula di un tribunale e quindi meritino il sudore degli infaticabili cronisti giudiziari, cioè dei copia-incollatori delle registrazioni, uscite dai cassetti e dai server dei palazzi di giustizia.

Si potrebbe pure concludere che Nordio si merita questo e altro per avere prestato fiducia e sponda ai cacasotto e ai forcaioli a targhe alterne della destra, quelli della “certezza della pena per i condannati e certezza del diritto per gli innocenti” (Meloni dixit, che ignoranza abissale).

Ma idealmente si potrebbe anche pensare che l’Italia – non il sentimento prevalente degli italiani, bensì la dignità dell’Italia nelle sue ambizioni civili – non si meriti questa efferata e subitanea rottamazione del pennacchio garantista del Governo Meloni e l’immediato ritorno alla trattativa Stato-Magistratura: la stessa che da oltre trent’anni circoscrive le riforme in materia di giustizia all’accoglimento parziale o totale delle rivendicazioni sindacal-politiche togate (anche, come in questo caso, quando sulla tolda di comando ci sarebbe un ministro poco incline, o meno incline degli altri, agli accomodamenti).

C’è l’inflazione, la guerra, la bolletta energetica alle stelle, il calcio in subbuglio, il Governo del “siamo pronti” impreparato a tutto; però c’è soprattutto la normalità di una giustizia che divora se stessa e la fiducia dei volenterosi sostenitori della sua imparzialità. Insomma, Nordio non è forse questo monumento di virtù, ma certo è la cartina al tornasole più eloquente di chi comanda sul potere togato. Non il Governo, non il ministro e neppure, per così dire, la Giustizia.

Uno dei più acuti e coraggiosi osservatori delle vicende politico-giudiziarie ha scritto ieri: “La realtà è che Sciascia, Tortora, Pannella, non ce l’hanno fatta. La realtà è che la piovra giudiziaria, collusa con la mafia giornalistica, è stata più forte di loro e ha vinto. La realtà è che abbiamo perso”. Si può dire che esagera? Sì. Ma ha ragione proprio perché esagera e ha il coraggio di chiamare con il suo nome una realtà oggettivamente esagerata e mostruosa nella sua dismisura civile, politica e morale.

@carmelopalma