Omerovic grande

Lo stupido pregiudizio di chi si dice “sempre dalla parte delle forze dell’ordine”, irrefrenabile anche davanti all’evidenza dell’abuso, è troppo forte per esercitarsi soltanto quando la vittima appartiene a certe minoranze etniche o culturali. Non fa troppe distinzioni: basta che si tratti “delinquenti”, “drogati”, “poco di buono”, e la manganellata gratuita, la scarica di botte, gli interrogatori a suon di schiaffoni, son messi tra le cose magari non proprio encomiabili, ma insomma su cui davvero non è il caso di impiantare uno scandalo.

Ma quando di mezzo c’è un rom, allora per chi lo maltratta c’è un supplemento di indulgenza. E i diritti individuali di chi è sottoposto alle cure del potere in divisa, già compressi senza tante storie per il sol fatto che a vantarli è la canaglia, diventano letteralmente nulla se quello cui bisognerebbe riconoscerli è uno che tutt’al più si merita la ruspa.

Il caso di Hasib Omerovic, il rom volato da una finestra la scorsa estate, e di cui si torna a parlare in questi giorni sulla notizia delle indagini a carico di chi potrebbe averlo seviziato, è perfettamente inquadrato in quel sistema di attenzione pubblica discriminatoria. Anche l’ordinario pregiudizio che assolve i casi di soperchieria della forza pubblica, infatti, avrebbe ceduto il posto a qualche indignazione se si fosse trattato di un balordo qualunque, non gravato dallo stigma che contrassegna quel popolo perseguitato.

Ma appunto: siccome è uno zingaro, pressoché niente. Perché questi non sono nemmeno, come si dice, cittadini di serie B. Sono solo zingari come nemmeno i negri sono solo negri, solo zingari come nemmeno gli immigrati sono solo immigrati: solo zingari contro i quali si incattiviscono una società e un giornalismo che non riescono neanche a far finta di dissimulare il proprio razzismo.

Intere comunità e “famiglie”, per il solo fatto di essere accomunate da quell’appartenenza etnico-razziale, sono la materia dell’eterno romanzo criminale che ne fa altrettante realtà ineluttabilmente delinquenziali. Gli zingari: che rubano. Le zingare: che si fanno ingravidare per non essere messe in prigione.

Piuttosto che gli illeciti commessi da alcuni di loro, non più numerosi rispetto agli illeciti commessi da altri, a spiegare l’incriminazione pubblica di cui tutti loro, senza distinzioni, sono destinatari è il fatto che sono zingari: una specie di premessa incolpatrice, per quanto inconfessata. E non bisogna arrivare a dargli di zingaracci, per rendersi responsabili di questo razzismo magari inconsapevole, e per ciò tanto più pericoloso. È sufficiente considerare la routine delle notizie di agenzia e della stampa che a mo’ di mattinale insistono sul campo rom non perché è abusivo, ma perché è rom, e fanno cronaca del furto con titoli tanto più appariscenti se a commetterlo è lo zingaro.

E viceversa, appunto: nel senso che se è uno zingaro a volar giù da una finestra, forse dopo essere stato sottoposto a sevizie, cessa il diritto al titolone indignato; quello che invece è puntuale quando serve a dimostrare che è gente fatta così, gente di una brutta razza.