La liturgia conformista di ‘Bella ciao’ e la Resistenza negletta
Diritto e libertà
“Bella ciao” non è una canzone, è un atto di fede o un attestato di conformismo. Atto di fede, di una fede insieme giovane, che voleva essere spensierata pur fra mille pensieri, speranze, timori, fu per chi andò in montagna. E non per una scampagnata.
Un moto di verità e di riscatto spinse molti giovani a correre gravi rischi, anche quello della vita, talvolta perdendola. Altri, più cauti o più lucidamente fanatici, seppero contemperare tempi, modi, valutare prospettive, utilità.
Ma nel complesso fu una pagina colma di alto senso tragico, e il tragico, da Eschilo in poi, mentre lacera, feconda, restituendo al dolore tutta la sua forza seminale.
Attestato di conformismo divenne quasi subito dopo il 25 Aprile: tanto che dovette essere costituita un’apposita Commissione, per depennare le frotte di partigiani della venticinquesima ora: fra “partigiani” e “patrioti” ne vennero riconosciuti poco più di 300.000. Moltissimi, se si considerano le implicazioni eminentemente personali (gli affetti, la casa, gli amici, gli addii, le rotture, le incertezze), il significato onnivalente che una simile scelta determinava nella vita di ciascuno; pochissimi, se si considera la pretesa di universalità, allora e fino ad ora, che si assume abbia acquisito la Guerra Partigiana.
Oltre Caiazzo e Napoli, oltre la Linea Gustav fino all’Abruzzo adriatico, il Sud non la conobbe. Conobbe però lo sfascio un po’ volenteroso e un po’ disperato del cd Regno del Sud, esteso su regioni ridotte ad una condizione lunare, per lo più ignorata o disconosciuta nella storia di quei mesi. La sconfitta dell’Asse fu politicamente e militarmente determinata dagli Alleati, e gli Alleati si accostarono al Meridione per quello che per loro era: terreno di battaglia e di conquista, alternando indugi paternalistici a bombe, ruspe e spicciative rudezze dei suoi “governi civili”. Anche questo fu prezzo della Liberazione. Ma rimase partita fuori bilancio.
“Resistenza” non fu qualificazione che si volle mai riconoscere agli oltre 600.000 soldati italiani, che si opposero ai diktat di Hitler dopo l’8 Settembre, scegliendo anche loro la via stretta, che li portò dritto filato nei lager nazisti. Non solo Cefalonia, dunque: ma il nerbo verde e incolpevole della Nazione, ragazzi e padri giovani e meno giovani, che fondarono con le loro sofferenze, non meno di quanti cantarono “Bella Ciao”, il riscatto dell’Italia.
Fra questi “partigiani negletti”, e negletti perché agirono per senso della dignità istituzionale e una coscienza nitida del proprio dovere di uomini, dunque, sub specie aeternitatis e senza orientamenti di parte, Alessandro Natta: che scrisse un denso libretto, tuttavia non pubblicato, se non dopo decenni, in omaggio all’uso politico della Resistenza; di cui il suo partito (come, pur fra un certo tormento lo stesso dovette riconoscere) fu non minima parte, come non minimo, del resto, fu il suo tributo alla comune causa.
Ed ecco il punto: la causa, da comune che era, fu resa faziosa, criterio largamente autolegittimante e scomunicante: e non tanto sul terreno delle implicazioni pratiche, perché la Repubblica atlantica e democristiana seppe riequilibrare certe pretese: ma su quello della resa memoriale, del giudizio morale e storico sulla Guerra Civile, prima, sullo svolgimento repubblicano, poi. Che è il terreno più duraturo, e capace di più insidiosi effetti.
Ora, al giovanotto nato, supponiamo, nel 2002; che a vent’anni legge di una Laura Pausini autrice di un “gran rifiuto”, sorta di Celestino V 2.0, che si può dire? Che Pausini è fascista? O non compiutamente democratica? Falso bersaglio.
Si deve dire che non cantare ciò che è diventato un prodotto Netflix, potrebbe non essere stata una scelta così vile come si legge. Ma, soprattutto, che le ragioni per cui un generoso atto di fede, un inno spontaneo alla libertà, dopo circa ottant’anni da quando fu intonato la prima volta, è diventato un documento di inerte liturgia, spesso invocato da chi ha fatto strame di giustizia, di diritto, di lessico e civiltà politica, pongono più problemi di quanti un vano “richiamo all’ordine” pretenderebbe di risolvere.
Purtroppo.