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Chi avrà la pazienza di guardare e ascoltare la registrazione della parte dell’intervento di Berlusconi a Treviglio, in cui parla delle sue preoccupazioni per la guerra in Ucraina, capirà che il senso delle parole del leader di Forza Italia non è quello loro attribuito dalla maggioranza dei commentatori e paradossalmente confermato dalla successiva smentita che, non potendo smentire niente, ha annegato tutto in una melliflua supercazzola, rendendo le affermazioni di fatto ancora più dissonanti.

Se lo si guarda e lo si sente parlare, si capisce però abbastanza bene che il senso delle parole di Berlusconi è decisamente diverso da quello di un omaggio – in gergo mafioso si direbbe: di una “inchinata” – alle ragioni del Cremlino o di un mero riposizionamento tattico rispetto al governo Draghi, come nel caso di Conte e di Salvini, che si sono intruppati nel partito del populismo pacifista per incassarne i consensi. Se poi il senso delle parole di Berlusconi sia migliore o peggiore di quello di Conte e Salvini, è una questione di gusti e di disgusti per l’idea della politica internazionale che il Cavaliere ha, per l’ennesima volta, confessato così candidamente.

Perché di questo si tratta: le parole di Berlusconi non sono un messaggio a Draghi, a Putin e al mondo. Sono “una voce dal sen fuggita” di un anziano leader che pensa che i potenti del mondo si siano del tutto scimuniti a trattare questa guerra per quella che è – la più grave aggressione all’ordine politico occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – e non per quella che a lui così chiaramente appare: un incidente dovuto al concorso di colpa di intemperanze russe e arroganze americane a cui si potrebbe porre rimedio mettendosi intorno a un tavolo e negoziando un accordo di reciproca soddisfazione.

Berlusconi lo dice chiaramente con le parole, con gli occhi, con il corpo e sembra quasi soffrirne. Lui è molto preoccupato – dice – perché “non abbiamo signori leader nel mondo”. E trae questa conclusione dal rifiuto di Biden e Stoltenberg di accettare il fatto compiuto e di riconoscere salomonicamente che qualche pezzo di Ucraina dovrà pure andare a Putin, per pagare il prezzo della pace.

Berlusconi è davvero convinto che la stabilità internazionale e l’ordine politico mondiale sia semplicemente il frutto di una ragionevole senseria e che ogni guerra, ogni rottura della continuità, ogni rovesciamento strategico, per quanto affondi le sue radici nella storia profonda degli stati, delle nazioni e dei popoli, non sia un fatto politico da riconoscere, ma un equivoco da sciogliere e un affare da chiudere con l’ausilio di un bravo mediatore. Berlusconi è davvero convinto che tra la Conferenza di Yalta e la trattativa sui diritti televisivi della Serie A non ci sia, di fatto, nessuna differenza.

Berlusconi ripudia il senso del tragico, perché è convinto che offuschi il senso del pratico. Quindi rifiuta di vedere la guerra con occhi diversi da quelli di un sensale. Il suo totale agnosticismo politico, la sovrana indifferenza per ogni dato di giustizia, cioè di diritto, applicato alle relazioni tra gli stati e la sua neutralità circa la natura dei regimi politici, lo hanno reso per un quarto di secolo un infaticabile tessitore di paci mondiali immaginarie e di relazioni d’affari politici molto reali.

Berlusconi non ha mai avuto dubbi che Putin fosse Putin, anche quando, fedele alla massima: “ti esagera!” (“tu esagera!”, cioè “sparala grossa”) giurava sulla sua tempra di sincero democratico. Ma era sinceramente convinto che la cosa non dovesse rappresentare un problema, perché non era davvero rilevante. Gli affari si fanno con chi c’è e quindi, essendoci Putin, gli affari si fanno con Putin. Da questo punto di vista, Berlusconi la pensa esattamente come il suo vecchio avversario Prodi, che, essendo meno sincero e meno candido di lui, non dice però quello che pensa. Invece Berlusconi lo fa, un po’ per narcisismo, un po’ perché davvero non si capacita di come si possa pensare diversamente.

Ora che l’aggressione dell’Ucraina rivela quanto tutte le cose che lui reputa irrilevanti – tutte le chiacchiere sulla libertà, sullo stato di diritto, sulle speranze individuali e collettive, cioè sulla politica – siano invece centrali nell’ordine del mondo, Berlusconi si rivolta contro la (per lui inutile) politicizzazione della guerra. Cioè, di fatto, si rivolta contro la realtà stessa della storia e l'implacabile smentita della più radicata delle sue illusioni: che la vita pubblica degli uomini e degli stati possa essere più o meno privatisticamente governata da un comitato d’affari di persone perbene e permale, ma tutte capaci di rispettarsi, di non pestarsi troppo i piedi e intrattenersi amabilmente tra una barzelletta spinta, una cena elegante e una spartizione territoriale.