Biden Putin grande

Si temeva una nuova offensiva russa in Ucraìna già dal 2021. Il vertice di Ginevra fra Russia e US (giugno 2021) doveva appunto servire a scongiurarla, ma le posizioni sull’Ucraìna erano rimaste distanti. Qui un vecchio articolo a riguardo.

Come parte della sua politica di contenimento della Cina, Biden aveva messo in pratica una strategia che qualcuno ha descritto (esagerando un po’) come “reverse Kissinger”, e che consisteva nell’avvicinarsi alla Russia per bilanciare la Cina: Biden aveva detto che l’ingresso dell’Ucraìna nella NATO non era al momento pensabile a causa della corruzione del paese, fatto dichiarazioni sullo status di grande potenza della Russia e tollerato il Nord Stream 2.

Allentare le relazioni fra Cina e Russia sarebbe stato possibile solo in cambio di un accordo complessivo che ridefinisse l’architettura di sicurezza dell’Europa centro-orientale (una sorta di accordi di Helsinki 2), e che limitasse la sovranità di alcune nazioni, compresa l’Ucraìna. Verificato che Biden non era disposto a fare concessioni simili, i russi devono aver deciso di provare a forzare la mano con l'escalation. Il caso mostra anche i limiti della cosiddetta wedge strategy e i problemi che essa pone per la deterrenza. Biden avrebbe dovuto mettere qualcosa di sostanziale sul tavolo se voleva allentare i legami sino-russi. Se invece non era disposto a sacrificare neanche una parte della sovranità dell’Ucraìna, avrebbe fatto meglio (io direi umilmente) a contrastare il Nord Stream 2.

È un caso classico nelle relazioni internazionali: c’è uno Stato minore che avrebbe la libertà di scegliere da che parte stare, se ragioniamo in punto di diritto; solo che per questioni di equilibrio di potere, di prestigio, di politica domestica, di ideologia, o per altre ragioni ancora, il suo spostamento da un blocco all’altro sarebbe destabilizzante. L’episodio di Corcira e quello dei Melii in Tucidide mostrano quanto antico sia il problema.

Ma, dicono alcuni, siamo nel XXI secolo, non si fanno più queste cose! Non c’entra niente in che secolo siamo; il fatto è che negli ultimi 30 anni gli US erano così forti relativamente a tutti gli altri che il problema non si è mai realmente posto; ciò ha creato l’illusione che fossimo entrati in una nuova èra. Tensioni fra la libertà degli Stati minori ed esigenze delle grandi potenze furono comuni durante la guerra fredda (crisi di Cuba, soppressione della Primavera di Praga) e sono svanite quando gli US si sono ritrovati soli al top; problemi del genere stanno tornando a porsi a mano a mano che il sistema tende a un certo multipolarismo.

In assenza di fonti d’archivio (che saranno disponibili solo fra 40 anni o giù di lì), non è chiaro se la Russia tema solo o principalmente l’espansione della NATO in Ucraìna (punto enfatizzato dai filo-russi) o anche e soprattutto la destabilizzazione che un’Ucraìna democratizzata ed economicamente integrata con l’Europa causerebbe all’oligarchia russa (punto enfatizzato da filo-americani e atlantisti). Forse, entrambe le cose, solo che la seconda non si può dire pubblicamente in Russia e negli ambienti filo-russi, mentre la prima è tabu negli ambienti filo-NATO e atlantisti. Se sentite qualcuno che cita una delle due spiegazioni, ma non menziona l’altra o ne ridimensiona drasticamente l’importanza, avete un buon indizio di quali sono le sue simpatie politiche.

Un’altra ipotesi è che si tratti di una questione di innenpolitik russa. In ogni paese, la politica estera è fatta da coalizioni domestiche rivali che hanno simpatie e antipatie diverse. Per citare un periodo storico che conosco bene, in Italia, Zanardelli era irrendentista e antitriplicista, e conseguentemente concluse accordi con i francesi; Crispi era anti-francese e sia lui che Giolitti erano triplicisti. In Austria-Ungheria, Conrad chiedeva la guerra preventiva contro l’Italia, mentre Aehrenthal lo trattenne. In Francia, Jules Cambon e Caillaux erano filo-tedeschi, mentre Poincaré era anti-tedesco e rafforzò i legami militari con la Russia. In Russia, Krivoshein promosse l’espansione in Estremo Oriente e in Cina, il che aveva come corrispettivo buone relazioni con la Germania; altri russi invocavano una forte politica nei Balcani e negli Stretti etc.

Ora, in assenza di fonti d'archivio, l’ipotesi di lavoro che io formulerei è che i settori del gruppo dirigente russo che sono fortemente anti-occidentali e filo cinesi abbiano premuto per l’escalation, e che i magri risultati del vertice di Ginevra abbiano dato più peso ai loro argomenti. Naturalmente, nella competizione per influenzare la politica russa, tutte le fazioni tenderanno a esagerare la minaccia posta dal paese a cui sono ostili: dei forti anti-occidentali che hanno legami con l’esercito tenderanno a descrivere l’allargamento della NATO come molto più minaccioso di quanto realmente sia; un economista liberale, come Kudrin, tenderà a porre più enfasi sugli effetti economici negativi della sanzioni (che è poi una cauta sconfessione della politica anti-NATO e anti-occidentale).

Più che un leader autocratico, Putin andrebbe visto come un mediatore, o broker oligarchico, tra fazioni e correnti contrapposte. Questa escalation potrebbe essere il prodotto della spinta di una fazione o di un’alleanza tra fazioni che aspira a cementare i rapporti con la Cina e che ha deciso che si possono indurre gli americani a fare concessioni solo minacciandoli.

Un certo numero di dilettanti sovraeccitati dice che gli ucraìni sono come i sudeti e che siamo davanti a una nuova crisi di Monaco. Molti di questi vengono dal partito radicale e sono anche in buona fede nelle loro aspirazioni democratiche e anti-oligarchia putiniana. Il problema è che essere anti-autoritarismo russo, cosa in sé lodevole, non ti rende un buon analista degli affari esteri. Descritta da qualcuno come “the most overused analogy in human history” , l’analogia di Monaco è nota fra gli internazionalisti per essere quasi sempre usata a sproposito e rappresenta il segno per eccellenza di dilettantismo e incompetenza. Non c’è nessuna Monaco; la Russia è un paese in declino, non una grande potenza quasi-egemonica che sta lanciando un bid per l’egemonia continentale. Le grandi guerre egemoniche capitano una volta ogni 150 anni ed è molto, molto improbabile che l’escalation ai confini dell’Ucraìna sia la miccia di un conflitto di questo tipo.

Infine alcuni, che forse cercano di accreditarsi in vista di incarichi al Ministero degli Affari Esteri, esaltano Di Maio per il modo in cui si è portato in questo frangente. Nulla suggerisce che Di Maio abbia brillato per intelligenza e abilità; il soggetto resta sempre quello che è. Anche i ciechi vedono che Macron si è ritagliato un ruolo da co-protagonista; altro che Di Maio.